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Sharon McCutcheon

Le dieci professioni del futuro

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Sono dieci, secondo uno studio americano pubblicato da La Repubblica, le professioni che avranno la più forte crescita nelle assunzioni, da oggi al 2018.

Al decimo posto si collocano gli infermieri specializzati, che dovranno essere 825.651 per soddisfare il bisogno della società (+20,7%), preceduti dai 1.058.041 assistenti sanitari a domicilio (+50%), dai 1.128.803 giardinieri (+18%), dai 1.214.882 muratori (+20,5%) e dai 1.302.100 tra vigilantes e guardie giurate (+14,2%). In quinta posizione troviamo la futura necessità di assumere 1.302.100 uscieri (+15,2%) ed in quarta, invece, 1.699.615 aiuti-infermieri per il servizio ospedaliero (+18,8%). Sui gradini del podio si posizionano 1.845.612 camionisti (+13%) e più in alto 2.736.825 addetti al servizio clienti (+17,7%) che dovranno essere assunti entro il 2018; in vetta 3.149.426 tra camerieri, cuochi e addetti alla ristorazione (+14,6%). Questi dati, risultati dall’indagine dell’U.S. Bureau of Labour Statistics e rielaborati dal Georgetown University Center on Education and the Workplace (pubblicati sul sito www.cew.georgetown.edu/jobs2018), sono sì validi per l’America, ma non è difficile pensare che simili proiezioni possano realizzarsi in tutte le altre società occidentali che vivono un trend di questo genere. È per queste prospettive lavorative dunque che stanno studiando i nostri figli? Da oggi al 2018 l’economia assorbirà 300.000 ingegneri di software, ma 500.000 baristi. Oggi sono laureati il 17% dei baristi, il 32% delle massaggiatrici ed il 26% delle indossatrici. Di pari passo alla crescita di queste occupazioni si è sviluppato anche il fenomeno della “sovra-qualificazione” in altri ambiti. Ad esempio negli Stati Uniti le industrie hi-tech che richiedono laureati nelle materie scientifiche, tecnologiche, di ingegneria e matematica hanno 4,8 milioni di addetti, ma coloro i quali sono titolari di quelle lauree sono ben 15,7 milioni. Ciò vuol dire che i due terzi deve cercare un altro tipo di occupazione e che la forbice tra formazione universitaria e attività lavorativa non farà che aprirsi sempre più. I settori dominanti per le assunzioni sono quelli di servizio alla persona: da un lato con l’invecchiamento della popolazione è naturale che si vada incontro ad un boom dei lavori relativi al benessere individuale, l’assistenza, l’aiuto a domicilio; dall’altro l’aumento degli acquisti su Internet, operati da una fascia più giovane della popolazione, vedrà incrementare il numero dei camionisti per le consegne della merce. E in mezzo ci sarà il vasto oceano degli addetti al servizio alla clientela, ovvero tutti quelli del telemarketing, dei reclami e dei servizi informazioni. Da qui al 2018, insomma, l’economia americana dovrà tornare a creare un milione di nuovi posti di lavoro all’anno, ma entro quella data ci vorranno anche 22 milioni di laureati in più. Perché? Per selezionare i futuri detentori di queste posizioni, le imprese porranno criteri di selezione più duri e quindi richiederanno titoli di studio superiori per semplificare il processo di selezione del personale: chi non è laureato viene scartato a priori. È ormai consolidata la convinzione che la laurea dà un’infarinatura di cultura generale indispensabile anche per i lavori manuali. Nel nostro Paese, ricco di tradizioni artigianali che rischiano di andare perdute, queste prospettive, unite alla creatività che contraddistingue il nostro popolo, possono portare alla riscoperta di vecchi mestieri e creare nuove occasioni lavorative. Se la gerontocrazia non lascia spazio ai giovani e se con l’aumento dell’età pensionabile i posti per i neolaureati sono sempre meno, non resta che indirizzarsi altrove. Paradossale ma vero, nell’Italia odierna, dove il lavoro rischia di diventare un traguardo inarrivabile, ci sono, secondo un rapporto della Confartigianato, quasi 150.000 posizioni che le aziende non riescono a coprire, su un totale di circa 550.000 assunzioni previste. Sono molti i lavori che nessuno vuole fare, che non hanno appeal sui giovani. Tra questi gli installatori di infissi e i panettieri, nonostante il posto sarebbe assicurato: manca infatti l’83% dei 1.500 installatori di infissi di cui necessitano le aziende e il 39% dei panificatori. Inoltre, la Confartigianato sottolinea la lacuna del 29% di gelatai e pasticcieri (1.750 posti sono ancora liberi), e del 20% dei sarti e tagliatori artigianali. Richiesti sono anche baristi, camerieri, muratori e macellai. La verità è che i lavori manuali, che assicurano un posto e un reddito, vengono spesso ignorati, nonostante siano 216.000 i giovani tra i 15 e i 34 anni che hanno perso il posto negli ultimi due anni. Tuttavia è difficile credere che non ci siano ragazzi disposti ad imparare un mestiere. Quello che manca, molto probabilmente, sono la formazione e l’informazione: basti pensare che due giovani su tre non hanno avuto alcun contatto con il mondo del lavoro durante gli studi. Queste professioni, in definitiva, entreranno inevitabilmente con forza a far parte delle possibili scelte delle generazioni più giovani e future. Il lavoro manuale viene spesso considerato come meno nobile, fatto per scelta obbligata, ma di fronte a queste proiezioni bisogna tornare a dargli il giusto valore e dignità. Senza pregiudizi, ma con creatività e innovazione, dobbiamo guardare alla futura offerta del mondo del lavoro. Martina Pluda


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