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Il bacio della strega, di Emma Donoghue

 |  Redazione Sconfini

Irlandese, classe 1969, Emma Donoghue ha già pubblicato, conquistando diversi riconoscimenti, quattro romanzi, due raccolte di racconti brevi, monografie (“We are Michael Field”), antologie; è stata autrice teatrale e

radiofonica. Sino ad oggi, questa produzione era patrimonio esclusivo degli anglofoni. Le prime traduzioni italiane si devono a Meridiano Zero – questo “Il bacio della strega” – e a Il dito e la luna, che ha recentemente tradotto e proposto ai lettori italiani il primo romanzo dell’autrice, “Stirfry”.

 

“Il bacio della strega”: ovvero tredici favole reinventate e modernizzate, divertissement letterario fondato su un nuovo, discreto protagonismo delle figure femminili; su una nuova coscienza, una diversa e contemporanea credibilità delle loro azioni, e delle loro scelte di vita: con stile e intelligenza, senza nascondere una predilezione per il lesbismo, mai forzato, sempre introdotto con leggerezza e sentimento.

 

I tredici racconti sono annodati da poche righe, interludio tra una e un’altra storia, trama tessuta per suggerire un’altrimenti impossibile coerenza e coesione tra diverse favole. L’impatto di questi paratesti è suggestivo, da autentica story-teller, sulla scia d’una tradizione antica: la lezione di quelle raccolte di novelle che un tempo venivano aaltrchitettate e immaginate per la lettura in pubblico, di fronte a spettatori rapiti e affascinati.

 

Così: “Sull’erba scura domandai: / chi eri tu / prima di acquistarmi per un pugno di ravanelli? / Ed ella disse: vuoi che ti racconti la mia storia? / È la storia di un fratello” (p. 75). E con questo nesso paradossalmente gracile, a una lettura superficiale s’intende, si costruiscono i legami tra una e un’altra trama.

 

Si comincia col Racconto della Scarpa, rilettura di "Cenerentola": la nostra eroina ha paura, è incerta, non sa nemmeno più come vestirsi; dopo la morte della madre, passa le giornate bastando a se stessa, lavorando per casa, tutta sola. “Sente tante voci infestare la sua mente, nessuna è quella della madre. A notte s’accovaccia al focolare, si racconta qualche storia… questo sin quando una sconosciuta incantatrice non le mostra l’albero di sua madre, lei si sente rinata” (p. 10) e vive l’incantesimo. Per tre sere, sino a mezzanotte, va al ballo; la terza volta incontra il principe, vagheggia per un attimo quella bianca e soffice via d’uscita dalla sua condizione, infine preferisce lanciare la scarpa rimasta su un ramo in alto; la lascia lì, oscillante, innamorandosi della strega.

 

S’intuirà che le varianti non sono poche, e si rivelano non poco divertenti (in senso etimologico) e suggestive. La rotta è quella di rimarcare e ribadire la fonte prima (ingiustizia sociale, riscatto, liberazione, rigenerazione) con esito ed epilogo diverso e inatteso, egualmente sospeso nel principio e tuttavia altro dalla fonte.

 

Nel Racconto dell’Uccello, una bambina che si sentiva inutile e “in prestito” (p. 18: “Non appartenevo a nulla, tutto qua. Né alcunché mi apparteneva; la mia era una vita in prestito”), maltrattata dai genitori, si riscatta con uno splendido matrimonio: acquista un nuovo nome, e tuttavia… lui vuole che “nulla le faccia del male, e nulla la tocchi” (p. 23). Così non la lascia uscire di casa. Un giorno, trova una rondinella ferita, l’accudisce, si commuove vedendola guarire, infine la libera; decidendo che quello sarebbe stato il suo futuro, che avrebbe avuto cura di sé sino a una nuova liberazione.

 

In questo frangente il sentiero è quello di rimarcare la condizione della donna come splendido oggetto, come creatura considerata comunque debole: unica possibilità quella di passare da un giogo a un altro, da una gabbia qualunque ad una gabbia dorata. La soluzione stavolta non è lesbica, è semplicemente logica.

 

Apprezzerete così le differenze che passano, ad esempio, tra “La bella e la bestia” e il suo Racconto della Rosa, dove appare il primo d’una serie di interessanti travestimenti (espediente notevole), seguito da Il Racconto della Chioma (alterazioni e innovazioni sullo spartito di “Raperonzolo” dei Grimm); tra la vulgata de “Biancaneve” e il suo Racconto della Mela, con una nuovissima interpretazione del legame tra regina e principessa (e relative origini della vicenda della regina, nel Racconto del Fazzoletto) e la mela avvelenata soltanto dalla verità; tra la “Bella Addormentata” e il Racconto dell’Ago, iniziazione al lavoro, alla fatica e alla sofferenza (chiara l’eco di Siddharta).

 

Superba occasione per tornare sui primi passi delle vostre letture, dai Grimm ad Andersen, e magari per riscoprire il saccheggiatore saccheggiato Giambattista Basile, “Il bacio della strega” è solo apparentemente un gioco erudito, una trasgressione della tradizione e una favola delle favole; sottotraccia, si racconta la coscienza e la lucidità della consapevolezza della donna contemporanea. Ama ancora le favole, ma vorrebbe fossero più fedeli alla nuova realtà e alla nuova società; non sempre un principe risolve la solitudine, né un mascheramento rivela e annuncia un inganno malvagio o una sciagura… talvolta è una costrizione per facilitare l’interazione e l’integrazione in un mondo che preferisce credere che non siano due le belle o due le bestie, ma una la bella e l’altra la bestia. Da leggere insomma, ma – lo consiglio – assieme alla consultazione delle fonti, per apprezzare puntualmente variazioni, invenzioni, nuove direzioni. La strega più credibile della letteratura contemporanea? È quella dell’ultimo racconto. Paradigma nuovo.

Gianfranco Franchi

 


 

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Emma Donoghue, Il bacio della strega, Meridiano Zero, Padova 2007. Traduzione di Maria Rosaria Corrado.

Emma Donoghue (Dublino, Eire, 1969), scrittrice, saggista e autrice teatrale e radiofonica irlandese. Vive in Ontario. PhD nel 1997, Cambridge (sul concetto di amicizia tra uomini e donne nella fiction inglese del diciottesimo secolo).

 


In collaborazione con Help!

 

 


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