Fumetti: istruzioni per l’uso
Torinese di nascita, ma goriziano d’adozione e con numerose amicizie a Trieste, Giacomo Pueroni è uno fra i disegnatori di fumetti professionisti di maggior talento in Italia.
Dopo aver conseguito il diploma in architettura e aver svolto per un lungo periodo il mestiere di grafico, ha iniziato la carriera di fumettista sulle pagine della Sergio Bonelli Editore, prima disegnando “Zona X” e in seguito “Jonathan Steele”, poi pubblicato dalla Star Comics. Accanto a molte prestigiose collaborazioni, Pueroni ha dato vita da sei anni – con Miriam Blasich e il triestino Luca Vergerio – ad un nuovo personaggio a fumetti, Anjce, affascinante eroina del futuro che vaga nello spazio in compagnia di Horo, una buffa talpa ghiotta di cioccolato, alla ricerca del suo passato e dell’amore perduto.
Pueroni, a che età ha preso in mano la sua prima matita?
“Domanda da mille euro. Non ho memoria di un momento particolare. Dovevo essere molto piccolo, visto che non ho presente alcun dettaglio. Mi sono sempre visto con la matita in mano, impegnato a fare scarabocchi incomprensibili ovunque. Ma questa è una cosa che può dire ogni bambino. Credo che da piccoli si subisca il fascino dell’azione che provochiamo disegnando una riga su un foglio. A me capitava di voler disegnare quasi ogni oggetto o di mettermi davanti alla tv cercando di copiare quello che vedevo. Poi il resto è venuto da solo”.
Quando si è reso conto che il disegno, oltre che una passione, stava diventando anche un lavoro?
“Molto è dipeso dalla gente che mi stava vicino, sentendo le loro reazioni a quello che realizzavo. Piano piano è venuta fuori la consapevolezza di avere quel qualcosa che mi staccava dal disegno tradizionale e che in seguito mi ha spinto a frequentare la scuola d’arte dove ho appreso le tecniche per sviluppare al meglio le mie qualità”.
Quindi si può imparare a disegnare o le doti naturali sono fondamentali?
“Ecco, questo è il punto. Mi verrebbe da dire che è possibile, che basta applicarsi e ascoltare i consigli giusti e qualcosa salta fuori. Ma poi mi rendo conto che non è così. Quando superi quel livello e pensi in maniera diversa, vedi le cose che gli altri non vedono. Allora capisci che è qualcosa che hai dentro che ha fatto uscire il tutto. Potremmo chiamarla curiosità, oppure fame di conoscenza. Si può imparare il mestiere copiando e si può arrivare a farlo anche molto bene, ma sarà sempre la riproduzione di qualcos’altro. Scatta una foto e copiala: avrai già un disegnatore. Ma se togli la foto, ecco il panico. So che se mi fossi messo a praticare tennis, nuoto o basket, difficilmente sarei riuscito a diventare un professionista. In quei casi si dice: ci vuole talento naturale. Ecco, credo che stiamo parlando della stessa cosa anche per il disegno”.
Come si svolge la giornata tipo di un disegnatore?
“Dipende. C’è un modo ideale: ti imponi degli orari, cominci ad una certa ora e ti fermi ad un’altra, ma non funziona sempre così, perché disegnare non è come avvitare una vite, richiede pratica e impegno. L’altro è quello più irregolare, ma più diffuso: disegni quando hai l’idea e non ti fermi più fino a quando non crolli dalla stanchezza. Strano a dirsi, ma risulta essere il sistema più usato dai disegnatori”.
Allora, come per uno scrittore, esiste anche la “solitudine” del disegnatore?
“Eccome no. Il disegnatore è sempre solo nel suo lavoro. Puoi parlare con gli amici, scambiare le tue impressioni o cercare idee dalla conversazione con altre persone, ma alla fine lavori sempre in casa, chinato a disegnare su un tavolo, con solo della musica occasionale a farti compagnia”.
Quali caratteristiche deve avere un buon fumettista?
“Avere passione in quello che fa, ma è una risposta che si potrebbe dare per qualsiasi lavoro sulla faccia della terra. E poi deve essere curioso, perché non bisogna mai smettere di imparare o sperimentare. Guai fermarsi, bisogna fare come gli esploratori dei secoli passati: cercare, cercare sempre, qualcosa prima o poi si troverà. L’importante è porsi sempre un limite leggermente superiore alle proprie capacità e quando lo raggiungi, se succede, spostarlo più in alto”.
Cosa suggerirebbe a un giovane che volesse intraprendere la sua professione?
“Sembra una battuta, ma gli consiglierei di trovarsi un altro mestiere. Il fumetto è un genere relativamente povero, che solo in certi casi particolari, assai rari, garantisce sicurezza economica. Il più delle volte il disegnatore deve alternare il mestiere con altri impieghi o essere anche grafico. Il suggerimento è quello di armarsi di santa pazienza, avere tanta buona volontà e fare attenzione alla gente che cercherà di sfruttarlo. Insomma, il paradiso non è dietro l’angolo… ma molto più lontano”.
La crisi economica del momento, che si sta accanendo in particolare sul settore “cultura”, ha avuto ripercussioni nel suo lavoro?
“Purtroppo sì. I fumetti vendono sempre di meno a causa della crisi e diversi editori “minori” reagiscono nell’unico modo che conoscono, abbassando cioè i compensi dei collaboratori. Insomma: prendere o lasciare. Il primo risultato evidente è il calo della qualità dei disegni. È il classico serpente che si morde la coda: i fumetti vengono fatti male, i lettori non leggono più, l’editore abbassa i compensi e… si ricomincia col giro”.
Questo significa che anche il rapporto fra l’editore di fumetti e il disegnatore è oggi in crisi?
“Di sicuro non è dei migliori. Da parte degli editori, che risentono pure loro della crisi economica, c’è poca voglia di investire. Si preferisce magari pubblicare qualcosa di estero, limitandosi a tradurlo. Oggi esistono diversi editori minori che distribuiscono il loro prodotto unicamente nelle fumetterie e non nelle edicole. Sono degli “one shot” che garantiscono all’autore solo una piccola percentuale sul prezzo di copertina e non uno stipendio regolare. E quando promettono un compenso, questo arriva molto in ritardo. I fumetti popolari italiani in circolazione, inoltre, si rivolgono ormai ad un pubblico adulto di lettori, con un’età media fra i 20 e i 25 anni. Manca totalmente la produzione per ragazzi, che si limita a prodotti legati a qualche gadget televisivo. L’unico richiamo per gli adolescenti sono i manga giapponesi, che però – per quanto alcuni siano fatti molto bene – usano linguaggi troppo diversi dal fumetto occidentale, per cui difficilmente un lettore che segue i manga passerà anche ad un fumetto italiano. I lettori si identificano in generi: ci sono i “bonelliani”, quelli che comprano solo i giapponesi e quelli che amano esclusivamente i supereroi americani. Generi e mercati che in questo momento sono sempre più in crisi”.
Attualmente in cosa è impegnato e quali sono i suoi progetti futuri?
“Sono disegnatore e co-creatore assieme all’amico Federico Memola – che ne scrive i testi – del personaggio “Harry Moon”, collana bimestrale pubblicata da Planeta DeAgostini. Il primo numero è uscito nelle edicole e in fumetteria lo scorso aprile, mentre il prossimo sarà pronto all’inizio del 2011. Da qualche anno, inoltre, sono uno degli illustratori della rivista di fantascienza “Robot”, che mi permette di confrontarmi in un settore diverso. E poi proseguo sempre nel progetto “Anjce”, fumetto autoprodotto che esce una volta all’anno ed è distribuito nei negozi specializzati. Con “Anjce” ho debuttato sei anni fa come “sceneggiatore di me stesso”, scoprendo che mi diverte scrivere anche le storie per i fumetti. Mi piace e non penso proprio di smettere”.
Claudio Bisiani