Erborista o apprendista stregone?
L’erboristeria, nella tradizione italiana, aveva una particolarità unica: era un luogo legato all’aspetto magico delle erbe, agli usi officinali, medicamentosi e lenitivi. Un luogo misterioso, ma anche tradizionalmente legato alla cultura popolare della conoscenza, della raccolta, della conservazione delle piante e del loro uso curativo.
Lo speziale aveva, al pari del farmacista, una cultura raffinata in fatto di dosare sapientemente spezie, ma anche erbe officinali, ricche di quei principi attivi che poi sarebbero stati spesso usati dall’industria farmaceutica o addirittura sintetizzati. Molti medici illustri avevano, oltre ad una solida cultura umanistica, anche una conoscenza botanica e fitoterapica, che integrava sapientemente quella medica e clinica.
Le cose per molto tempo rimasero tali e l’Italia, proprio per questo, era diversa dal resto dell’Europa. Oggi non è più così. Nelle attuali erboristerie si vendono prodotti confezionati ad uso cosmetico, alimentare o integratori di diete, talvolta detergenti biodegradabili, prodotti dell’alveare, pane e altri prodotti da forno integrali. Le distinzioni tradizionali con gli altri Paesi si stanno via via eliminando.
Lo sviluppo straordinario dell’erboristeria – 9 milioni di persone ricorrono a rimedi naturali, e il giro d’affari attorno ad erbe e tisane è di circa 800 milioni di euro – ha fatto sì che in questi negozi non ci si limita alla sola preparazione di miscele d’erbe o alla vendita dell’etto di tisana, anche se queste attività per alcune erboristerie sono ancora di grande rilievo.
Chi è l’erborista? È colui che vende parti di piante, radici, fiori e loro derivati per la cura e il benessere della persona, consigliando ricette o essenze per la cura di piccoli disturbi (raffreddori, disturbi digestivi) e limitando il proprio intervento al mantenimento delle corrette funzioni fisiologiche. Alcune ricette vengono realizzate direttamente dall’erborista stesso miscelando le erbe, ma vi è comunque il divieto di vendere piante officinali destinate a terapie o medicamento, le quali possono essere vendute solo dai farmacisti.
A questo punto, l’interrogativo ovvio è: chi è oggi, veramente, l’erborista? L’Italia ha visto, negli ultimi anni, svariati tentativi di dare un ordinamento giuridico al settore erboristico, ma sono tutti falliti per varie ragioni, non ultima la scarsa operatività degli organi legislativi. Se teoricamente per essere erborista si deve aver frequentato un corso universitario di tre anni in “Tecniche erboristiche” o avere una laurea in Farmacia o Scienze Biologiche, al banco si può “incappare” anche in uno sprovveduto o, peggio, in un sedicente e abusivo operatore sanitario che si atteggia a santone, preparatore di pozioni coperte da segreto professionale.
Se lavora in un negozio ed è titolare dell’attività commerciale deve per forza rispondere ai requisiti richiesti al settore alimentare per società e ditte individuali, e il locale che accoglie l’attività deve avere i requisiti igienico-sanitari, urbanistici, di destinazione d’uso previsti dalla legge.
Con la legge che verrà, in accordo con l’Unione europea che ha emesso un regolamento in base al quale gli stati membri devono riconoscere la formazione ottenuta in un altro stato con uno studio di almeno tre anni, l’erborista dovrà e saprà gestire la trasformazione, l’uso e la commercializzazione delle piante e dei loro derivati; avendo conoscenza delle proprietà delle piante dovrà saperle analizzare e utilizzare nell’ambito cosmetologico o alimentare; dovrà conoscere la normativa farmaceutica ed erboristica e, se lavorerà a contatto con il cliente, dovrà essere in grado di riconoscere il malessere e associare il rimedio più efficace.
Le alchimie saranno messe al bando?
Ignazia Zanzi