Le cellule staminali
Una delle grandi speranze dei ricercatori è quella di poter applicare le cellule staminali nel sistema nervoso e quindi non solo curare il morbo di Parkinson o di Alzheimer, malattie dove avviene la perdita progressiva di neuroni, ma anche rigenerare nervi dopo paralisi o incidenti stradali.
Le cellule staminali costituiscono sempre di più una speranza per i pazienti affetti da particolari patologie. Recentemente un gruppo di ricercatori di Australia, Canada e Stati Uniti, coordinati da Jane Visvader dell’istituto di ricerca medica australiano “Walter and Eliza Hall” di Parkville, in un articolo pubblicato sulla rivista “Nature” ha annunciato un innovativo esperimento effettuato con le cellule staminali dell’epitelio della ghiandola mammaria di un topo. Dopo essere state marcate in modo da renderle riconoscibili in ogni fase successiva dell’esperimento, le cellule sono state trapiantate in topi vivi. Qui le cellule hanno cominciato a specializzarsi e si sono moltiplicate fino a formare una ghiandola mammaria completa e perfettamente funzionante, in grado di produrre latte. Un esperimento molto importante per meglio comprendere la rigenerazione indotta dei tessuti e per ottenere cellule specializzate di organi difficili da trapiantare o studiare, come la mammella o il pancreas.
Proprio le cellule staminali sono oggetto anche nella nostra regione di particolari studi nell’ambito di terapie da utilizzare per le malattie cardiovascolari. Queste ultime costituiscono la prima causa di morte in Europa e negli Stati Uniti, superiore anche alle cause di natura accidentale e tumorale. Su questo tema siamo andati a sentire il professor Mauro Giacca, direttore della sede di Trieste dell’ICGEB (International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology). “Innanzitutto – spiega – va detto che le principali malattie cardiovascolari sono dovute alla arteriosclerosi, quindi alla formazione di placche che ostacolano il flusso di sangue nelle arterie. A livello di patologia le placche di arteriosclerosi sono causa di ictus (occlusione acuta a livello cerebrale) oppure dell’infarto cardiaco (occlusione acuta a livello delle coronarie)”. Questo tipo di patologia colpisce progressivamente le persone dai 40 anni in poi e annovera tra le sue cause principali uno stile di vita sbagliato: troppo fumo, poco esercizio fisico, dieta ricca di lipidi. A questi fattori si aggiungono anche le cause legate all’assetto genetico, che stanno diventando sempre più preponderanti: ci sono almeno 200 geni diversi che con piccole variazioni possono predisporre un individuo a sviluppare il processo di arteriosclerosi.
“Quando una persona sviluppa l’arteriosclerosi nelle arterie coronarie – aggiunge Giacca – è una persona a rischio d’infarto cardiaco. A questo punto la procedura più diffusa è quella dell’angioplastica, che prevede l’inserimento a livello dell’arteria coronaria di un piccolo catetere: questo deve arrivare a livello della placca dell’arteriosclerosi e qui aprire un palloncino, al fine di rompere la placca e di ristabilizzare il flusso. Se questa procedura non dovesse bastare, il passo successivo è il by-pass: il cardiochirurgo in anestesia generale prende un pezzo di vena sana per bypassare l’occlusione dell’arteria lesa. Purtroppo, però, ci sono alcuni pazienti che non possono essere sottoposti a questi interventi; in altri pazienti, nonostante queste procedure, il cuore tende a scompensarsi e non riesce a pompare più il sangue in maniera efficace”.
Proprio per cercare di risolvere queste situazioni sia l’ICGEB, in collaborazione con il Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia dell’Ospedale di Cattinara a Trieste, sia gli Istituti di Anatomia Patologica delle Università di Udine e Trieste, stanno effettuando degli studi sulle cellule staminali per la cura di patologie cardiovascolari. “L’idea – precisa il professor Giacca – è quella di prelevare delle cellule che abbiano la potenzialità di diventare o vasi sanguigni o tessuto cardiaco nuovo. Per questo motivo il nostro obiettivo è quello di prendere una cellula staminale, espanderla in laboratorio e, dopo averne ottenute circa un miliardo, iniettarle (in questo caso nel cuore). Una volta introdotte, sono le stesse cellule che dovrebbero capire di essere nel cuore, quindi attivarsi nella creazione di una nuova arteria e di conseguenza diventare arteria. Allo stesso modo queste cellule possono capire che c’è bisogno di ricreare parte del tessuto cardiaco e quindi diventare tessuto cardiaco. La medesima cellula staminale può diventare anche neurone o fegato”. “Il problema – spiega ancora Giacca – è che si sa che esistono cellule con questa capacità, ma non si conosce il meccanismo con il quale questo avviene. Non si capiscono ancora gli stimoli giusti”.
Ma da dove vengono prelevate le cellule staminali? La sorgente più accreditata è il midollo osseo, presente in tutte le ossa spugnose, che contiene non soltanto le cellule staminali ematopoietiche, cioè quelle che producono i globuli rossi, i globuli bianchi, le piastrine e tutte le cellule del sangue, ma anche cellule staminali in grado di differenziarsi in qualsiasi altro tessuto. Oltre a queste cellule staminali dell’adulto, che sono tuttora difficili da identificare e coltivare, una sorgente più certa di cellule staminali totipotenti è rappresentata dalle cellule dell’embrione. L’embrione, per definizione, è il prodotto di una singola cellula, cioè l’uovo fecondato dallo spermatozoo, lo zigote, che si replica molti miliardi di volte e dà quindi origine all’organismo intero. Lo zigote, quindi, ha in sé l’informazione per fare qualsiasi tessuto od organo.
“Nel caso delle cellule embrionali – sottolinea Giacca – la scienza ha dimostrato le loro capacità, anche se sussiste ancora il problema di come indirizzarle verso la formazione di uno specifico tessuto. Anche in questo caso conosciamo ancora poco sui meccanismi molecolari e cellulari che regolano il differenziamento di queste cellule. Inoltre, le cellule embrionali che potrebbero essere utilizzate per la terapia derivano, per ovvie ragioni, da un embrione con un’informazione genetica diversa da quella del paziente in cui sono inserite, creando quindi gli stessi problemi che s’incontrano quando si trapianta un organo adulto”.
C’è però un altro modo per arrivare alla cellula staminale embrionale, quello della clonazione: si prende una cellula del paziente adulto con problemi di cuore e si trasferisce il nucleo di questa cellula, che contiene DNA, all’interno di un oocita (a cui viene tolto il materiale genetico) di una donna donatrice. “Questo nucleo – afferma il professor Giacca – per motivi che non comprendiamo si comporta come se fosse il prodotto di un uovo fecondato fino a dar origine ad un embrione che potenzialmente crea un altro individuo: così è nata la pecora Dolly”.
“Purtroppo – conclude Giacca – in Italia, a causa della bocciatura dell’ultimo referendum sul tema, noi non possiamo lavorare né con le cellule staminali dell’embrione né con le cellule embrionali ottenute con la clonazione. L’unica cosa che si può fare in Italia è usare sul paziente le cellule staminali dell’adulto, anche se la loro funzionalità non è ancora accertata”.
Silvia Stern