Decessi da esposizione all’amianto: attendere passivamente?
Della lunga storia dell’amianto e dell’importante ruolo che le associazioni che se ne occupano hanno assolto nel fare scoprire un fenomeno fino a pochi anni fa (mi)sconosciuto, si è discusso al Convegno Internazionale “Amianto: lo stato dell’arte, ambiente e salute” organizzato dall’Eara (European asbestos risks association) a Trieste il febbraio scorso. Attualmente il “fenomeno” si è evoluto e non tutti l’hanno capito: nel convegno si è voluto fare il punto della situazione della ricerca sulle malattie asbesto-correlate, con particolare riguardo alla macroarea socio-sanitaria e ambientale di pertinenza. Prevenzione e salute sono la mission dell’Eara ma, nel rispetto delle lotte per i riconoscimenti economici e la giustizia perseguiti dall’associazionismo italiano e non solo, si è voluto sollecitare la ricerca e verificare un potenziale network di eccellenza scientifica nel territorio transregionale-nazionale (Gect).
Immediatamente nelle parole di Roberto Fonda, presidente dell’Eara, sono stati chiari i toni e gli intendimenti: “Già al convegno organizzato nel 2007 si era realizzato che si doveva cambiare: non più soltanto antagonisti ed in guerra con tutti. Seduti ai tavoli con pari dignità, per risolvere insieme alle stesse Istituzioni i problemi. Inoltre, sebbene nel pieno rispetto delle giuste battaglie legali (in sede civile e penale), esiste il problema della Salute che non può e deve risolversi soltanto con una “monetizzazione”. Le riflessioni devono poi tradursi in progettualità e concretizzarsi sul campo. Senza diagnosi precoce e cure intorno al 2018/2020 “subiremo” il previsto “picco” di malattie e decessi”.
“Un autorevole relatore – ha raccontato Fonda – intervenendo tempo fa al World Conference Ispesl a Taormina, affermò, illustrando dei grafici comparativi fra malattie e consumi d’amianto (tenendo conto della lunga latenza, circa quarant’anni), che «purtroppo dobbiamo pazientare ed attendere ancora una decina d’anni, prima di vedere scendere la curva delle malattie e dei decessi attualmente in forte aumento». Sono sobbalzato di fronte a tale “rassegnata” dichiarazione: ma come, “attendere passivamente”? No! Si deve – perlomeno tentare, con determinazione – dare una risposta agli attuali e futuri ammalati, soprattutto per i micidiali mesoteliomi che non hanno cure efficaci. Possibile che si parli di milioni di euro per (giustificati, non fraintendiamo) indennizzi e risarcimenti danni e nessuno parli di investimenti nella ricerca? Purtroppo sopravvive da troppi decenni la “sub-cultura della monetizzazione della salute”. Così associazioni che svolgevano un ottimo lavoro di sensibilizzazione ed assistenza amministrativa – anche aiutate da ottuse oltre che ingiuste scelte politiche e cieche resistenze di enti sordi a “tutte” le istanze – sono diventate meri uffici distaccati di studi legali”.
E la salute? “La salute – ha proseguito Fonda – viene perseguita da pochi ed incontra non pochi ostacoli. L’Eara è fra questi pochi, avendo abbandonato la logica del “localismo” per abbracciare una macroarea socio-sanitaria ed ambientale transfrontaliera (comprendente anche Slovenia, Austria, Croazia e Veneto) in un’ottica europeistica (Eu-Gect). La ricerca deve essere adeguatamente finanziata, le “buone prassi” devono essere applicate anche per queste patologie come per le altre forme oncologiche”.
Questi concetti sono stati fatti propri dal dottor Ludovico Nevio Puntin, segretario generale dell’Aiccre, che ha auspicato per la macroarea socio-sanitaria e ambientale (Gect) “la stesura di una Carta di Trieste che riassuma gli elementi del patrimonio comune”. Tutti gli interventi hanno convenuto come deve e possa emergere il convincimento che questo “coordinamento possibile” sia autorevole e che nella macroarea ci siano le strutture d’eccellenza sia nel campo della ricerca scientifica che in quello delle “buone prassi”. Sarà compito dell’Eara attivarsi presso le competenti autorità europee affinché siano erogati i necessari fondi e una sufficiente attenzione a ciò che, in definitiva, si potrebbe configurare come un pilastro dell’Euroregione.
Ignazia Zanzi
Le patologie asbesto-correlate
I due termini usati indifferentemente, amianto (in greco significa immacolato e anche incorruttibile) e asbesto (in greco significa perpetuo, inestinguibile), riassumono le caratteristiche di questo minerale che porta in sé un paradosso: le fibre e la polvere di asbesto sono estremamente pericolose per la salute umana. In natura si trova unito ad altri minerali costituenti la roccia madre dalla quale le fibre devono essere asportate. Una volta estratto in miniera, e dopo successive frantumazioni, si ottiene la fibra purificata.
Le fibre sottili e molto addensate ne fanno un materiale altamente resistente dal punto di vista meccanico, ma allo stesso tempo flessibile. Ha una buona resistenza termica, pur non essendo un materiale refrattario; resiste a temperature anche di 500 °C e, miscelato ad altre sostanze, anche a temperature maggiori. Resiste all’azione di agenti chimici e biologici, all’abrasione e all’usura.
Con il nome di amianto sono raggruppati numerosi silicati idrati, di varia composizione chimica, a struttura microcristallina e di aspetto fibroso. I tipi principali di asbesto si dividono in due grandi gruppi: anfiboli (silicati di calcio e magnesio) di cui fanno parte il crocidolite (o amianto blu) e l’amosite (o amianto bruno), e serpentini (silicati di magnesio) di cui fa parte il crisotilo (o amianto bianco).
Le ottime caratteristiche chimiche e meccaniche dell’amianto hanno fatto sì che il suo utilizzo si sia rapidamente diffuso per la fabbricazione di oltre 3.000 prodotti e manufatti industriali di larga diffusione: tubi per acquedotti, fogne, lastre e fogli in cemento-amianto, mattonelle per pavimentazioni, frizioni, freni e prodotti vari per attrito, guarnizioni, filtri per bevande, tute, coperte, guanti antincendio, pannelli fonoassorbenti e/o isolanti, vernici, rivestimenti, stucchi, feltri, tegole.
Qualunque tipo di amianto risulta cancerogeno per l’uomo. La prima malattia che venne riconosciuta come provocata dalla polvere di amianto è l’asbestosi, che fu descritta in Inghilterra nel 1900. Nel 1934 venne descritto per la prima volta un particolare carcinoma primitivo della pleura, che fu denominato mesotelioma, e in seguito riscontrato anche nel peritoneo. Mentre l’asbestosi è una malattia tipicamente professionale, i casi di mesotelioma si riscontrano anche fra la popolazione non esposta professionalmente, ma residente in zone ove esistono insediamenti industriali che lavorano amianto. Il mesotelioma è infatti un segnalatore tipico di presenza di amianto, in quanto la quasi totalità dei casi è riconducibile ad un’esposizione ad asbesto. Inoltre l’amianto opera un’azione sinergica di sostegno ad altri agenti patogeni, rafforzando il loro potere cancerogeno. Infatti in popolazioni specifiche professionalmente esposte ad asbesto, oltre a subire un’elevata mortalità per le malattie specifiche provocate dall’amianto, si ha un forte incremento della mortalità in genere, ed in particolare della mortalità per cancro in generale, soprattutto alle vie respiratorie e all’apparato gastro-intestinale.
In Italia la Legge 257 del 27 marzo 1992 ha finalmente sancito la messa al bando della “fibra assassina”, quindi nel futuro del nostro Paese i rischi da amianto saranno ora dovuti alle opere di bonifica delle zone contaminate. Per il lungo tempo di latenza, dall’esposizione all’amianto fino alla possibile insorgenza del mesotelioma (da 15 a 40 anni), l’amianto continuerà ad essere un problema ancora per parecchi decenni. La respirazione di fibre di asbesto (ed anche l’ingestione, anche se la questione è ancora controversa), può determinare malattie diverse, tutte comunque caratterizzate da un lungo intervallo di tempo fra l’inizio dell’esposizione e la comparsa della malattia. Questo intervallo, chiamato tempo di latenza, è in genere di decenni. Il rischio per la salute è direttamente legato alla quantità ed al tipo di fibre inalate, alla loro stabilità chimica, a una predisposizione personale a sviluppare la malattia.