Terremoto... ad effetto!
Ancora oggi le ripercussioni emotive di un terremoto sull’uomo sono pesanti e devastanti comportando uno sconforto infinito unito al dolore di constatare come in pochi secondi si possa perdere tutto nella sua accezione più ampia, beni materiali (la casa) e beni spirituali (la perdita di un familiare). Da sempre l’umanità si è fatta forza nel sopportare il flagello del terremoto con la solidarietà di tutti i propri simili, pronti a dare una mano senza distinzione di nazionalità, sesso, credo religioso, opinione politica, giungendo così a trasformarsi da evento negativo in evento foriero di positività considerata la sua capacità di coagulare intere società in un clima di solidarietà normalmente non riscontrabile nella vita di ogni giorno.
Queste poche considerazioni già danno la misura della eterogeneità del fenomeno terremoto, eterogeneità generata proprio dalla confluenza in esso di pulsioni psicofisiche variegate e così capaci di esaltare la parte migliore dell’umanità intera, spesso sottaciuta in quanto fagocitata da messaggi di tutt’altro tenore e che propendono per considerare sempre e comunque preminente il male sul bene.
È comprensibile quindi che quando “la macchina dell’informazione” si deve occupare di eventi come quello che ha colpito il nostro Abruzzo, sarebbe quanto mai necessario fin dal primo momento domandarsi in maniera assolutamente obiettiva quale sia il compito dei media nel momento stesso in cui si accingono a parlare dell’evento. La prima risposta che sovviene naturalmente è quella di assegnare ai media – appunto – il compito di informare, ma… è bene chiarire immediatamente quale sia la valenza del termine informare, considerato che i molteplici aspetti dell’informare possono produrre risultati addirittura contrapposti. Pertanto, se per informare intendiamo portare a conoscenza del pubblico di un certo fatto o circostanza, va da sé che questa informazione dovrà caratterizzarsi per una certa “asciuttezza” intesa come essenzialità, obiettività ed assenza assoluta di propensione alla partigianeria.
Ma il problema in realtà non è così lineare come potrebbe sembrare in quanto mai quanto oggi “la macchina dell’informazione”, potendo contare su mezzi di comunicazione in video ed in parola di capillarità, efficacia e tempistica solo qualche decennio fa impensabili, inevitabilmente la porta a debordare dal suo compito strettamente istituzionale di informare, propendendo per un aspetto che con l’informazione nulla ha a che fare, e che ormai troppo ricorrentemente sovrasta la notizia trasformandola in spettacolo. È proprio sulla propensione a spettacolarizzare la notizia che oggi i media devono fare i conti con la propria coscienza professionale, cercando di evitare di demandare ad un futuro indefinito una presa di posizione netta, al fine di evitare equivoci o comunque storture di vario genere.
Questo è un problema enorme in quanto indissolubilmente connesso ad altri due autentici “veleni” per chi cerca la verità testimoniata dalla notizia nella sua essenzialità: il guadagno derivante dalla “vendita” della notizia e, per quanto attiene specificatamente il mondo video, il tanto temuto quanto bramato dato dell’audience. Ci si domanda quindi: l’occasione del terremoto abruzzese sarà motivo di tristi conferme caratterizzate per l’ennesima volta dalla propensione dei media non di informare bensì di colpire allo stomaco, o al contrario terrà presente l’essenzialità del compito di informare evitando quindi tutte quelle storture che comporta inevitabilmente la ricerca spasmodica dell’effetto sensazionale sempre e comunque?
Non nascondiamocelo! L’esordio dei media nel caso specifico non è stato dei migliori, infatti – com’è a conoscenza di tutti – poche ore dopo l’accadimento c’era già un autentico sciame di truppe televisive e di giornalisti al seguito che autocreandosi ad effetto un clima da post guerra nucleare, indugiavano con il microfono e con le telecamere sui soliti triti e ritriti soggetti ed episodi presenti in questa tipologia di evento, come il superstite sconvolto e piangente intervistato senza avere rispetto del suo evidente stato confusionale, indugiare su una crepa della chiesa del paese, inquadrare fino allo sfinimento il via vai di ambulanze e soprattutto (cosa importantissima in fatto di audience) individuare quanto prima possibile qualche voce fuori dal coro, qual è quella che nel caso specifico si è identificata in una voce generalizzata secondo cui il terremoto abruzzese poteva essere preannunciato e quindi – in termini di danni – dall’effetto devastante più contenuto.
Questo, sempre in termini di audience che nulla ha a che fare con il diritto all’informazione, mette in campo le “forze migliori” soprattutto del mondo televisivo: ed ecco che quasi per miracolo nella sera stessa del giorno in cui si è verificato l’evento, si moltiplicano ad effetto domino trasmissioni a iosa del tipo “no stop”, mutuando una delle più esecrande abitudini del mondo dei media americani, trasformando così il dramma in un vero spettacolo della durata di ore ed ore, nel corso delle quali traspare – nel loro procedere – il costante problema ad un certo punto di non sapere che dire, considerato che il conduttore di turno più volte ridarà la parola al collega che è sul posto della tragedia ed al quale “candidamente” domanda “se ci sono ulteriori novità”! Allo spettatore, a questo punto, a causa di questo tipo di informazione subentra, dopo il primo effetto adrenalinico, un sopore da noia che lo induce inevitabilmente a cambiare canale.
Ci si domanda, pertanto, se lo spettatore che cambia canale può essere definito un soggetto poco sensibile al dramma che il Paese vive o più semplicemente è un soggetto deluso dalla tipologia delle notizie che gli vengono fornite e che verosimilmente non appagano un unico suo incontrovertibile desiderio: sapere solamente cosa sta succedendo in Abruzzo, senza commenti, senza orpelli inutili, senza sensazionalismo. La nostra è un’utopia? Forse, ma non rinunciamo alle nostre convinzioni.
Mr. Cljmax