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Il 15 giugno sarò da Obama. E invece ci ritroviamo Gheddafi a Roma.

 |  Redazione Sconfini

gheddafi, incontro, romaL'arrivo in Italia del dittatore sanguinario Gheddafi, osannato da tutti i politici romani, è davvero la rappresentazione della tragicomica condizione della diplomazia italiana. Ma facciamo un passo indietro.  Visto l'aumentare dei mugugni degli italiani per la totale indifferenza di Obama verso Berlusconi e l'Italia, il 31 maggio il cavaliere se ne esce con una sparata divertentissima: "Mi recherò da Obama per discutere sulle nuove regole dell'economia e della finanza mondiale". Una barzelletta degna del libro di Totti.

Insomma, c'era l'invito di Barack. Berlusconi risponde all'appello dell'amico "abbronzato" e si dice pronto ad andare a trovarlo. C'è addirittura la data: il 15 giugno. Gli italioti beoti ingollano anche l'ennesima panzana e in cuor loro credono che Obama e Berlusconi si sentono e si stimano. Niente di più ridicolo. Sono molti i motivi per cui Obama prova disgusto per il premier italiano e sono il motivo per cui se ne inventa sempre una per non incontrarlo.

Il 15 giugno sta arrivando, la promessa di Berlusconi è l'ennesimo bluff. Ma chi ci ritroviamo con la sua tenda a Roma? Il sanguinario dittatore libico Gheddafi, osannato da una parte di popolo ammaestrato e accolto con eccessive carinerie nei palazzi della Repubblica.

Berlusconi si atteggia e si pavoneggia sul tappeto rosso come fosse un grande statista e Napolitano si sbilancia: "Da Gheddafi, parole di grande moderazione sull'Africa"
Intanto il dittatore prende letteralmente per il culo tutti sfilando con al petto la foto di Omar Al Mukhtar, eroe nazionale libico che guidò la rivolta anti italiana tra il 1923 e il 1931. Il "leone del deserto", come era soprannominato, venne catturato dagli italiani e condannato a morte.

Insomma, dovevamo andare a trovare Obama. E invece ci ritroviamo Gheddafi nel centro di Roma con la sua tenda beduina, che ci prende in giro e dice di aver accettato l'invito perché "abbiamo chiesto scusa". Che triste parabola per la diplomazia italiana.


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