Roberto Saviano prepara le valigie: è pronto ad auto-esiliarsi
Roberto Saviano, lo scrittore-eroe che con il suo best-seller Gomorra ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora sulla camorra in Campania e che vive sotto scorta da molti, troppi, mesi, non ce la fa più. Vivere costretto a continui spostamenti e controllato tutto il giorno ogni giorno dalla scorta, che deve assicurargli protezione, avere paura di muoversi per tutta Italia, non poter uscire da solo a fare una passeggiata, incontrare amici e familiari è una tortura per un ragazzo ventottenne che si sente solo. Il suo successo, anche economico, non lo ripaga di questa vita da reietto.
A dare forse un nuovo vigore al suo pensiero di auto esiliarsi è stata probabilmente l'ultima notizia, la confessione di un affiliato ai casalesi, ora collaboratore di giustizia, che dal carcere ha fatto sapere di un progetto per uccidere Saviano e tutta la sua scorta entro Natale. E così lo scrittore dice "Basta".
"Andrò via dall'Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà...", ha detto Roberto Saviano. "Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che fosse assai stupido - oltre che indecente - rinunciare a se stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo. 'Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l'odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri - oggi qui, domani lontano duecento chilometri - spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me".
Questa confessione choc, che speriamo davvero non sia una sorta di testamento spirituale, deve suonare anche come appello morale alla gente che Gomorra ha descritto, con le sue bellezze e contraddizioni, con la sua paura e il suo ritardo sociale, con la sua codardia e la sua eccezionalità.
A Napoli, a Saviano non affittano neanche un appartamento per paura di vendette della camorra. I suoi amici sono stufi di difendere lui e il libro. Le minacce sono continue e la comunità che ha ingenuamente (come lui dice) cercato di aiutare gli volta le spalle. Saviano è un uomo solo, prigioniero di Gomorra. Lontano dai luoghi che non riconoscono il suo valore, forse, starà meglio.
(foto: wikimedia)