E' di pochi giorni fa l'improvvida uscita del magistrato ora capo dell'anticorruzione Raffaele Cantone, secondo il quale Milano sarebbe tornata a essere la capitale morale d'Italia perché ha quegli anticorpi sociali che Roma non ha.
Un'uscita temeraria, errata nei tempi, nei modi e ovviamente nei contenuti che in queste ora qualora ce ne fosse ulteriore bisogno viene smentita da un nuovo caso che coinvolge la Lega Nord e i soliti rimborsi elettorali. Nel celebre processo per truffa sui rimborsi elettorali piovuti nelle casse (e nelle case) del Carroccio ai tempi di Bossi e del tesoriere Belsito è infatti entrata a gamba tesa una missiva dell'avvocato del Senatùr che chiama in causa anche i suoi successori: il presidente della Regione Lombardia Maroni e l'attuale segretario Salvini.
In ballo ci sono quasi 60 milioni di euro la cui storia è in buona parte nota: a Genova sono a processo Umberto Bossi e Francesco Belsito accusati di truffa ai danni dello stato sui rimborsi elettorali. Ora però un carteggio inedito chiama in causa anche Maroni e Salvini, a cui il Senatùr (attraversi il suo legale Matteo Brigandì) chiede di restituire 40 milioni che costituiscono il corpo del reato e che dovrebbero ancora essere nelle casse del Carroccio. La Lega, infatti, anche dopo la notte delle scope, il repulisti mediatico di Maroni e l'elezione del nuovo segretario, ha continuato a incassare i rimborsi elettorali in parte non dovuti. Salvini si era addirittura costituito parte civile e ora potrebbe rischiare grossissimo.
Dal dicembre 2013 prima Maroni e poi Salvini le casse della Lega sono state riempite con 13milioni e 820mila euro che i due leader, nonostante sapessero della truffa, hanno continuato a prendere e spendere.
Ora i giudici dovranno verificare se l'aver incassato questi soldi sia concorso nel reato di cui è accusata la coppia Bossi-Belsito o, se quei denari sono stati spesi, ci si trovi di fronte addirittura al reato di ricettazione.