Sfascio Pd: è partito il conto alla rovescia
Naturalmente, l’inconsistenza attuale del partito che dovrebbe esprimere la vocazione maggioritaria del riformismo italiano deriva in primo luogo dalle forme e dai modi che ne hanno segnato l’atto stesso di nascita. Fusione fredda tra apparati di due partiti già di per sé in evidente crisi di rappresentatività sociale, finta competizione tra candidati a una leadership in realtà stabilita in anticipo (con il risultato di trasformare in una pagliacciata le primarie, e quindi con il rischio serio di screditare sul nascere uno strumento di partecipazione democratica inedito per l’Italia). Di fronte a questo spettacolo la sola domanda da farsi è con quale coraggio i suoi organizzatori lo hanno allestito e proposto all’elettorato italiano, con quale mistura di dilettantismo politico e arroganza intellettuale hanno potuto pensare di presentarlo come una risposta credibile alla disintegrazione del centrosinistra, e magari in questo modo di vincere le elezioni.
Non si sa. È nota solo l’insistenza con cui tutti i dirigenti del Pd hanno cercato di deformare la realtà di un’epocale sconfitta elettorale, negandola dietro a una soddisfazione di cartapesta per aver superato la soglia decisiva del trenta per cento. Davvero un successo, considerato che si tratta di una cifra inferiore alla somma dei voti di Ds e Dl separati, e ottenuta per di più cancellando quasi del tutto le forze della sinistra radicale.
È sotto gli occhi di tutti quanto spudoratamente si sia evitato l’unico antidoto possibile al declino, e cioè un bagno collettivo di autocritica. Al posto di ammettere la disfatta, considerandola non come una battuta d’arresto episodica ma come la bocciatura decretata dal Paese a un’intera storia, invece di riconoscere francamente il suo valore periodizzante proprio perché in un certo senso azzerante, in che cosa si sono prodotti i maggiori leader del Pd?
Dunque, Veltroni è fin dall’inizio protagonista di una linea schizofrenica che resta chiusa per mesi in silenzi indecifrabili quanto imbarazzanti per sbottare all’improvviso in polemiche contro il governo inevitabilmente casuali e senza costrutto, o in scatti di rabbia cieca tipo quella che ha decapitato il duo Padellaro-Colombo all’“Unità” e portato alla direzione del giornale Concita De Gregorio.
D’Alema si è trasformato in una creatura sempre più sulfurea e contorta, del tutto incomprensibile alla maggior parte degli italiani, stritolatasi alla fine con gli stessi alambicchi con cui ha cercato per anni di costruire la pietra filosofale della politica italiana, quella “cosa” misteriosa che esiste dappertutto nel mondo e solo in Italia a quanto pare nessuno riesce a impiantare: un moderno partito socialdemocratico.
Di Rutelli in questo momento si può dire che lavora come le patate sott’acqua, ma forse inaspettatamente è quello che sta giocando con più astuzia la partita: formale appoggio alla non-linea di Veltroni, dando al contempo per già avvenuta la fine del Pd e perciò cercando in Casini il ramo cui aggrapparsi quando l’albero cadrà per terra al primo soffio di vento.
Mentre di Fassino c’è da dire poco o nulla, è definitivamente evaporato dopo essere stato l’unico segretario di partito nella storia politica europea a non aver voluto o saputo crearsi una propria corrente, perfetto esempio di generale senza esercito.
Ora shakerate il tutto. Perché, forse per omaggiare anche in questo la specificità integrale della politica italiana rispetto a ciò che è normale e prevedibile nel resto del mondo, i quattro spaventapasseri del Pd non hanno fatto quadrato per cercare di salvare la comune nave che affonda in mezzo al maremoto, non hanno avuto quel riflesso di autodifesa omertosa e corporativa da onorata società colpita al cuore come sarebbe stato ovvio aspettarsi. No, si sono scagliati uno contro l’altro con perfidia e ferocia inaudite, e abbiamo avuto così una carrellata non sai se più scioccante o deprimente di coltellate alla schiena tra gente che si conosce da una vita.
Questa scena di macelleria spietata e fratricida ha rappresentato naturalmente un ulteriore ostacolo alla discussione aperta dentro al partito. Nessuno ufficialmente sa che cosa pensi l’altro, è tutto un cigolare di porte e uno spiare dietro l’angolo in questo clima ambiguo e complottesco da corte ottomana, mentre il ticchettio della bomba manda a tutti i nervi in pezzi anche se nessuno si sogna di prenderla e buttarla fuori dalla finestra. L’esplosione è fissata per le europee del 2009 e c’è solo da sperare nella sua potenza.
Patrick Karlsen