Astensione alta? Vince il partito dei signorotti locali
L'Italia che esce dal primo turno del voto amministrativo è un'Italia pessima. Scoraggiata, avvilita, tradita ma anche incapace.
Il deludente risultato del Movimento 5 Stelle (12,4% a Roma), le cui cause sono numerose ne è uno specchio solo parziale. Possibile che si sia già esaurita la spinta al cambiamento voluta con il voto politico di febbraio? Certo che no. Il governo dell'inciucio ha però avvilito molte coscienze.
La dimostrazione che gli italiani votano spesso con la pancia (per non dire altro) piuttosto che con la testa è rintracciabile a Sulmona dove è andato al ballottaggio un candidato (il povero Fulvio Di Benedetto) deceduto durante un comizio in piena campagna elettorale ma ciononostante votato da quasi il 22% degli elettori.
Nessuno lo ha rimarcato abbastanza ma la chiave di volta per comprendere ciò che è accaduto si trova nella spaventosa percentuale di astensionismo che ha costretto addirittura ad invalidare le elezioni in alcuni comuni. Alcuni pensavano che un alto astensionismo potesse favorire i pentastellati e invece ciò non è accaduto per due motivi:
1) Le elezioni amministrative si vincono su territori limitati (anche il comune di Roma è un territorio limitato) sui quali sono presenti da circa 70 anni potenti locali che controllano migliaia di voti, smistano denari e potere senza intermediazioni attraverso assunzioni, cariche nei cda delle partecipati, assessorati, consulenze e contribuzioni al limite (ma anche oltre) della denuncia penale. In percentuale, su un territorio limitato appunto, coloro che si avvantaggiano dalla vittoria di questo o quel politico di turno sono un numero elevatissimo di elettori. A ciò si aggiunge il fatto che l'elezione diretta di Governatori e Sindaci obbliga i partiti tradizionali a schierare volti affidabili, il meglio di ciò che hanno in casa, mentre i 5 stelle scelgono dei lodevoli sconosciuti senza alcun appeal mediatico o culturale. Per il Parlamento la storia è estremamente diversa: i favori non sono diretti e la selezione della classe dirigente è ai limiti del ridicolo. Qui il M5S trova terreno fertile per dare sfogo alle proprie idee e alle istanze di cambiamento che i cittadini metteranno sempre in freezer nelle elezioni locali, laddove le numerose liste civiche sottraggono una marea di voti alla più nazionale di tutte le liste.
2) L'alto astensionismo ha reso ancora più potenti i signorotti e capibastone locali. Il mafiosetto "X" che può contare su 2.000 voti di preferenza garantiti da anni di politica del do ut des e che sarebbero pesati "Y" in caso di affluenza all'80% valgono molto di più in caso di affluenza al 50%. Sono voti ancora più pesanti: un conto è portare 2.000 voti su 100.000 (2%) un altro è portarne 2.000 su 50.000 (4%). In questo chi non va a votare sbaglia sempre. Diluendo il più possibile i voti dei potenti locali si aumentano le possibilità che il loro appoggio a questo o quel candidato risulti ininfluente. Il M5S logicamente è lontano da questa strategia di campagna elettorale che però a livello amministrativo è l'unica (al momento) veramente vincente proprio per il combinato disposto di questi due punti.
Non è un caso se anche quando il M5S prendeva oltre il 25% alle politiche, contemporaneamente le liste cittadine e regionali non superavano mai il 17-18% e spesso erano molto al di sotto di queste percentuali! Sembra un paradosso che un Movimento nato per dare voce alle istanze locali venga perennemente sconfitto in sede locale ma è l'intrinseca natura di movimento di opinione che si è dato a portare a questi risultati.
Detto ciò, il Pd pur avendo perso centinaia di migliaia di voti sia rispetto alle politiche sia rispetto alle precedenti comunali, sembra il trionfatore della tornata. Alla fine porterà a casa moltissimi sindaci ma si tratta di una vittoria di Pirro, non replicabile per motivi diametralmente opposti al flop dei 5 Stelle in sede nazionale.
A Roma, nel 2008 il centrosinistra che sosteneva Er Cicoria Rutelli prese nel primo turno 761.126 voti. Oggi Marino, che pare essere Berlinguer, ne ha racimolati 512.720. Certo, l'offerta politica è mutata ma come si spiega un "crollo" (come titolerebbe l'attendibilissima stampa di regime) di quasi 250mila voti, ovvero quasi il 30% di voti in meno? Si tratta dello stesso calo - confrontando le altre recenti amministrative - del M5S (dove a Milano nel 2011 prese solo il 3,22% e a Bologna il 9,50% per intenderci). Perché fa più rumore il calo di Grillo?
La risposta è semplice: pur con gli evidenti problemi di comunicazione, con l'inadeguatezza e impreparazione di alcuni suoi rappresentanti (altri sono invece davvero in gamba), con l'attacco a suon di olio di ricino e manganello di tutta la stampa cartacea (escluso il Fatto) Repubblica in primis, tutti i programmi Rai e Mediaset con il sostegno di Lilli Bilderberg Gruber, pur con l'ingombrante Grillo e la mancanza di un cambio di passo strategico di Casaleggio, i deputati e senatori del M5S sono sulla via giusta per scoprire qualcosa di grosso (infatti Copasir bloccato), per stanare i potenti di ieri e di oggi (infatti Giunta per le elezioni bloccata) e per ripulire la Rai (infatti elezione presidente vigilanza Rai bloccata) dalle tante zecche senza arte né parte che si stanno dimenando per evitare di finire in strada.
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