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Errori in sala parto: errori?

 |  Redazione Sconfini

 

Già il titolo fa montare la bile. “Errori in sala parto” è il titolo di un articolo che ho trovato navigando nel portale www.sconfini.eu, che nel nome voluto per sé, nonché nell’estensione “eu” anziché “it”, promette una

visione dell’attualità che vola oltre i “confini” del pensare comune. E invece quando tocca i temi della responsabilità professionale dei medici vola terribilmente basso: si conforma alla moda di pretendere un risarcimento monetario per eventi avversi anche quando la vera sola responsabile non è la malasanità ma la malasorte. E in sala parto è spesso così.

 

La bile monta subito perché, titolando “Errori in sala parto”, si esprime un giudizio di condanna, senza lasciare al lettore la possibilità di formarsi un’impressione propria: prima ancora che la vicenda sia stata almeno vagliata da esperti, dove per “esperto” intenderei chi la sala parto l’ha vissuta e sa cosa vuol dire. Non è un giornalista, non è un avvocato, non è nemmeno un medico-legale, insomma non è chi la sala parto l’ha solo letta su un libro che può permettersi di dare un giudizio su un evento avverso lì accaduto. E forse non è nemmeno un giudice, anche se gli spetta l’ultima parola, perché in sala parto non c’è mai stato nemmeno lui. E riconosco la responsabilità, grave, di contribuire all’esasperazione di quell’antagonismo tra pazienti e medici dal quale la società non può che ricevere nocumento perché rompe il loro originario rapporto di complicità. E dà ragione all’opinione che, su un tema analogo, un mio amico ginecologo ha espresso sinteticamente ed efficacemente in un suo articolo di diversi anni fa: “In futuro solo un cretino potrà scegliere di fare il medico: gioverà alla società avere solo medici cretini?” (Giorgio Carlomagno).

 

Nell’affollata sala-congressi di Villa Manin, a Passariano del Friuli, qualche anno fa si è tenuto un convegno regionale su alcune tematiche difficili dell’ostetricia moderna. Alla richiesta dell’orataltore “alzi la mano chi di voi si è trovato ad affrontare una distocia di spalla almeno una volta”, si sono levate solo cinque mani; contarle è stato facile. Con quest’efficacia spietata sono stati posti in rilievo due dati di fatto: l’evento è raro (dal momento che in sala c’erano quasi tutti gli specialisti della regione) e nemmeno chi ha i capelli bianchi può vantare una solida esperienza sull’argomento o almeno tale da bacchettare il prossimo. Conseguenza: la probabilità, notoriamente molto alta, che alla distocia di spalla segua una lesione neonatale è indipendente dall’età di chi assiste il parto ed è indipendente dal punto-nascita dove il parto avviene. A bacchettare il prossimo ci pensa però l’articolo di “sconfini.eu”.

 

Per distocia di spalla s’intende l’ostacolata, ovvero impedita, espulsione delle spalle fetali che si verifica quando il diametro spalla-spalla è superiore al diametro del bacino materno: la testa è in via di disimpegno, il feto è “incastrato” nel bacino materno, non può più rientrare ed ha difficoltà ad uscirne, il parto cesareo non è più possibile, la via vaginale è obbligatoria, il disimpegno delle spalle richiede invariabilmente quelle manovre (per esempio la manovra di Jacquemier) per le quali, altrettanto invariabilmente, l’ostetrico sarà accusato d’imperizia. E la malasorte si abbatte non solo sul neonato e sulla sua famiglia, ma anche su quel povero diavolo che si trova lì per caso ad assistere il parto e sulla sua famiglia; e se non ci fosse stato lui ma un collega coi capelli bianchi le cose sarebbero andate nello stesso modo.

 

Si tratta di un’emergenza ostetrica infrequente (0,2-1,6% dei parti vaginali), drammatica, imprevedibile, la cui gestione richiederebbe un’esperienza che nessuno può vantare, di fronte alla quale si deve decidere rapidamente, e che quasi mai si risolve senza lesioni alla madre e/o al neonato: quando va bene la frattura della clavicola o dell’omero, quando va un po’ meno bene la trazione dei nervi di uno degli arti superiori con conseguenze, talora permanenti, sulla sua funzionalità muscolare, e quando va malissimo con danni cerebrali che derivano dalla carenza di ossigeno che si realizza nel tempo in cui il feto permane con la testa fuori e le spalle dentro. Nel timore di danni anossici cerebrali si è spesso costretti a “scegliere il male minore”. La probabilità che si verifichi una distocia di spalla dipende, com’è intuitivo, dalle dimensioni del feto e da quelle relative del bacino materno: una donna minuta potrà avere una distocia di spalla con un feto di peso del tutto normale (si parla di “macrosomia relativa”) ma quando il peso va oltre i 4.500 grammi anche una donna con bacino non piccolo potrà andare incontro a questo problema (si parla di “macrosomia assoluta”).

 

L’articolo riporta il parere della Commissione Medica di Tu.Di.Ma. (non faccio fatica a capire che si tratta di “Tutela dei Diritti del Malato”) su di un caso di lesione del plesso nervoso brachiale derivante da distocia di spallaalt in una neonata del peso, non irrilevante, di 4.200 grammi. Probabilmente i membri della Commissione hanno discusso un’oretta, seduti ad un tavolino, e forse con un caffè fumante, prima di decidere che la manovra di Kristeller (spinta sul fondo dell’utero per accompagnare il disimpegno della testa o delle spalle fetali), decisa rapidamente dall’ostetrico che ha assistito il parto, in un minuto, coinvolto anche lui sicuramente dall’ansia e dalla drammaticità della situazione d’emergenza, era sbagliata perché “troppo energica” (come hanno misurato l’energia? e per quale valore di energia non si verificano lesioni?). E l’ostetrico non aveva il caffè. Si sono forse chiesti cosa sarebbe successo se non l’avesse fatta? Forse le più gravi lesioni neurologiche che sono conseguenza del protrarsi dell’impossibilità a disimpegnare le spalle? Forse quell’ostetrico si sarebbe meritato un panettone per Natale invece di una denuncia? Non so da chi sia costituita quella Commissione, spero solo che non ci sia nessuno di noi: potrebbe trovarsi dall’altra parte prima o poi. E se non c’è nessun ostetrico, come suppongo, ne consegue che i suoi membri non hanno esperienza di sala parto; e allora ignorano anche completamente le problematiche correlate al “neonato di grossa taglia” oppure, dal momento che “esprimono parere favorevole alla prosecuzione dell’iter risarcitorio”, così come loro si permettono di condannare pubblicamente le capacità professionali di quel medico ancor prima che l’iter processuale sia giunto a compimento, è lecito che ad altri venga il dubbio che ci sia la spinta d’interessi secondari, forse estranei a quello della “tutela dei diritti del malato”.

 

Prima di accettare la dogmatica equazione “lesione del neonato = colpa dell’ostetrico”, bisogna avere ben presenti i dati che Mario Campogrande (Torino), un’autorità dell’Ostetricia nazionale, ha presentato nel convegno di Caltanissetta del 2006. Che un neonato alla nascita sarà di grosso peso (sempre che la nascita non avvenga prima del termine, e questo, ancora, nessuno lo può sapere eccezion fatta per le cartomanti) può al massimo essere sospettato nel corso della gravidanza ma non diagnosticato con certezza; nel 40% dei casi non è presente alcun fattore predisponente (diabete, precedente neonato di grosso peso, ecc.).

 

La stima più accurata del peso fetale alla nascita è del tutto inaccurata; a questo proposito bisogna tenere presente che la previsione ecografica del peso fetale è corretta quando, rispetto al peso effettivo, si discosta del 10% (in più o in meno) nel 75% dei casi; se l’ecografista stima un peso di 2.000 grammi e poi il neonato peserà 2.200 molti direbbero “c’ha preso”, se invece stima un peso di 4.000 grammi e poi nasce di 4.400 molti direbbero “ha toppato di quasi mezzo chilo” là dove a chiunque mastichi un minimo di matematica appare evidente come l’errore sia dello stesso ordine di grandezza. Ma quello che può cambiare sono le conseguenze: un feto di 3.600-4.000 grammi probabilmente non va incontro ad una distocia di spalla (se la madre non è minuta) mentre un feto di 4.400 forse sì; inoltre la Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica ha stabilito (per motivi che non sto qui a dire: in ostetricia non c’è solo il problema della distocia di spalla) che l’ultima ecografia va eseguita tra le 32 e le 34 settimane se la gravidanza è normale, e quest’epoca è troppo lontana dal parto per poter predire quale sarà il peso neonatale in quel momento. È noto anche che quanto più grande è il feto tanto maggiore è l’errore di valutazione: per i feti grossi il peso stimato è sempre inferiore a quello reale. Inoltre il 50-60% delle distocie di spalla si verifica in neonati con peso inferiore a 4.000 grammi. Ne risulta che è impossibile con un qualunque grado di certezza prevedere in quale parto si verificherà una distocia di spalla. E il non poter prevedere significa che ce la troviamo d’improvviso davanti, e d’improvviso dobbiamo gestirla: poi andremo in tribunale con calma.

 

Si potrebbe facilmente obiettare che nella previsione di una macrosomia fetale si dovrebbe eseguire un taglio cesareo prima del travaglio: ma un feto grosso è grosso anche per via cesarea (anche se la breccia è più larga) e sono comunque possibili alcune complicanze (fratture di omero o di clavicola, trazione dei nervi di un arto superiore); e, poiché non tutti i macrosomi vanno incontro ad una distocia di spalla, occorrono 3.695 cesarei per prevenire una sola distocia di spalla se il feto pesa 4.500 grammi o più (Rousse, 1999), e il numero dei cesarei ovviamente aumenta per feti di peso inferiore. Ci sono evidenze che dimostrano come si possano verificare lesioni fetali anche con la corretta esecuzione delle manovre ostetriche atte a risolverla (Allen, 1991).

 

Nonostante sia dunque ampiamente dimostrabile che non è la malasanità ad aver causato la lesione del plesso brachiale alla neonata citata nell’articolo di “sconfini.eu”, ritengo molto probabile che ai medici sarà attribuita una colpa derivante da imperizia. Per un caso analogo, infatti, la Corte di Cassazione (sentenza n. 10297 del 28/5/2004) ha respinto l’assoluzione data dai giudici di merito nei processi sia di primo che di secondo grado, basata proprio sul riconoscimento dell’alto tasso di esiti negativi della distocia di spalla. Con arzigogolato ragionamento quella sentenza ha stabilito invece che i dati statistici concernenti l’esito finale di una determinata patologia non sono rilevanti per esimere dalla colpa e dal risarcimento del danno e che la “speciale difficoltà nella risoluzione di problemi tecnici” può invocarsi solo quando “richiede notevole abilità, implica la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessità e comporta un largo margine di rischi”. Detto per inciso, la sentenza della Corte assolve completamente quella manovra di Kristeller che la Commissione Medica di Tu.Di.Ma. invece riconosce come unica responsabile dell’evento lesivo. Il bello – si fa per dire – è che nessuno ci dice che cosa si sarebbe dovuto fare per evitare lesioni a questi neonati. Né Tu.Di.Ma. né la Suprema Corte. Per forza, non lo sanno. Se il professore di matematica mi dice che un esercizio è sbagliato mi deve anche dimostrare come va fatto. È una sentenza che mi risulta incomprensibile: snobba l’esperienza scientifica internazionale e priva qualunque ostetrico di qualunque possibilità di difesa.

 

Anche se non è assiomatico che le decisioni della Suprema Corte siano giuste in ogni caso, esse vengono impugnate solo di fronte a casi come quello di Eluana Englaro. La giustizia sta al di sopra della legge e della sua interpretazione: se uno Stato ha la pena di morte nel suo ordinamento non per questo la pena di morte è giustizia, nemmeno in quello Stato. E poi se una condanna non agisce da deterrente per gli individui e non costituisce una protezione per la società, che valore ha? Se viene multato uno che passa col rosso è per ammonirlo a non ripetere un’azione potenzialmente lesiva dell’altrui incolumità, ed allo stesso tempo per proteggere quelli che passano col verde. Ma se in una città tutti i semafori fossero rossi avrebbe senso multare chi passa col rosso se non può fare diversamente? Così è per la distocia di spalla: l’ostetrico condannato non potrà modificare il suo comportamento in un identico caso che gli si presentasse nel futuro – ha già fatto quello che sapeva e che umanamente poteva: la prossima volta potrebbe solo fuggire – e le gestanti future non saranno in alcun modo protette, anzi si troveranno di fronte un medico che eviterà di compiere un intervento rischioso per il timore ritorsioni. È un danno sociale molto grave perché non è rarissimo che in sala parto o in sala operatoria un intervento, se vuole essere efficace, implichi una scelta coraggiosa: e, per poter essere coraggiosi, bisogna essere sereni, diversamente si è “cretini”. Nemmeno gli altri ostetrici imparano nulla: né possono fare nulla per evitare la malasorte, capita all’improvviso, anche quando non te l’aspetti.

 

Nonostante la Suprema Corte, la distocia di spalla resterà sempre un’evenienza infrequente, drammatica, repentina, imprevedibile, di gravissima difficoltà decisionale verso la quale non si ha tempo per riflettere, verso la quale nemmeno chi ha i capelli bianchi può vantare un’esperienza tale da garantire sicurezza a lui ed alla gestante, e con esito in un neonato quasi mai completamente indenne da lesioni. Chi ci avrà guadagnato? L’ostetrico no di certo, è ovvio; la famiglia del neonato nemmeno perché si trova sì risarcita ma con un problema familiare da gestire, talora rilevante; neanche il giudice, al servizio dello Stato; men che meno la società perché i futuri casi di distocia di spalla andranno nello stesso modo. Restano però: il patrocinatore della parte attrice che, non sapendo nulla di ostetricia, dovrà affidare la valutazione del caso al medico-legale il quale, neppure lui sapendo nulla di ostetricia, dovrà avvalersi di un perito (uno specialista); il difensore della parte chiamata in causa che, non sapendo nulla di ostetricia, dovrà avvalersi a sua volta di un altro medico-legale e questi di un altro perito; il giudice poi, seppure estraneo a qualunque vantaggio economico, per svolgere la sua funzione e non sapendo nulla di ostetricia e non potendosi fidare dei periti di parte, proprio perché di parte, dovrà a sua volta avvalersi di un terzo medico-legale il quale si appoggerà ad un terzo perito. Un totale di otto persone che lavorano in regime di libera professione. Se poi si va in appello ricomincia tutto daccapo. Non esistono esperti nella prevenzione e nel trattamento della distocia di spalla, ma solo “periti” che si credono esperti (O’Leary, 1992). Se il medico sarà riconosciuto colpevole le spese saranno sostenute dalle assicurazioni, quella dell’ospedale e quella personale; e le assicurazioni cosa faranno se non aumentare il premio, già ingente? E chi paga l’assicurazione dell’ospedale se non tutti noi?

 

Le famiglie colpite dalla malasorte in sala parto non devono essere abbandonate dalla società perché si trovano a dover fronteggiare oneri economici che possono essere superiori alle loro possibilità: ma non è giustizia fornire quest’aiuto attraverso la colpevolizzazione di professionisti innocenti facendoli passare per incompetenti. Non ci sono altre vie? Non è una buona ragione. Se esiste un fondo per la tutela delle vittime della strada se ne può costituire uno analogo per gli eventi avversi, imprevedibili, inevitabili e noti correlati alla nascita. Si restituirebbe agli ostetrici quella tranquillità che hanno perso da tempo ed alla quale hanno invece diritto; e le famiglie più sfortunate avrebbero l’aiuto economico necessario in un tempo molto più breve che non gli anni ed anni necessari a che l’iter processuale passi in giudicato. Siamo ancora certi che si tratti di “errori in sala parto”?

 

Invito dunque il direttore di “sconfini.eu” a non permettere che si abbassi il volo del suo portale, che è alto e a volte coraggioso; non si tratta di rimuovere quell’articolo dal momento che tutti hanno libertà di parola, perfino io, ma di inserirlo in un altro “menù”: comunque non in quello di “malasanità”. E di modificare il titolo “Errori in sala parto” con quello di “Eventi avversi in sala parto”: un titolo che non fa montare la bile.

 

Francesco Morosetti, ginecologo

 

 
In collaborazione con Help!

 

 


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