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Bagni di mare: le precauzioni da non sottovalutare

 |  Ignazia Zanzi

L’acqua oltre che vita è anche un veicolo di patologie a causa del suo possibile inquinamento. Le potenziali molteplici fonti di contaminazione per l’acqua di balneazione possono, infatti, determinare nell’uomo patologie di natura infettiva, infiammatoria, allergica e disturbi di vario genere a causa dell’immissione nell’ambiente di inquinanti di tipo chimico, fisico e microbiologico. Le attività di sorveglianza di queste acque hanno proprio lo scopo di evitare che si verifichino esposizioni pericolose.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha esaminato i dati disponibili riguardanti le associazioni tra qualità microbiologica delle acque di balneazione e possibili effetti sulla salute dei bagnanti. Gli studi epidemiologici disponibili mostrano che è possibile contrarre alcune patologie, soprattutto gastroenteriti, in acque di balneazione che ricevono scarichi urbani non adeguatamente trattati. Sono anche stati riportati disturbi respiratori. Plausibili, ma meno probabili, infezioni dell’orecchio dovute alla contaminazione fecale delle acque. Sono stati rilevati anche disturbi oculari tra i bagnanti in acqua marina, ma i dati disponibili mostrano che questi non dipendono dalla qualità microbiologica dell’acqua. In generale i contaminanti chimici sono presenti nelle acque di balneazione a concentrazioni talmente basse da non comportare alcun particolare rischio di carattere sanitario.


In acque interne interessate da fioriture di cianobatteri, l’esposizione con le attività di balneazione può dar luogo soprattutto a dermatiti, gastroenteriti e disturbi respiratori. In alcuni tratti del litorale italiano sono stati riportati disturbi respiratori, in persone che stazionavano in prossimità della costa, attribuiti all’inalazione di aerosol marino contenente frammenti di un’alga bentonica: Ostreopsis ovata. Tuttavia il ruolo di quest’alga nell’eziogenesi di questi disturbi non è stato finora chiaramente dimostrato.
Le fonti sulla terraferma responsabili dell’inquinamento delle acque di balneazione sono principalmente rappresentate da liquami non depurati, scarichi industriali e acque di dilavamento di suoli agricoli. Altre fonti di inquinamento per il mare includono scarichi di navi e piattaforme offshore per la produzione di energia. L’inquinamento di tipo chimico può anche provenire per via aerea attraverso fenomeni di deposizione atmosferica.


Il rischio per i bagnanti causato da una fonte di contaminazione può variare in relazione alle caratteristiche idrologiche del bacino drenante: generalmente la presenza di una foce di un fiume di vasta portata in prossimità di un’area adibita alla balneazione può rappresentare un potenziale rischio per i bagnanti, in rapporto al carico di inquinanti che viene veicolato da quel determinato corso d’acqua. In relazione a tale aspetto assumono particolare importanza anche i fenomeni meteorologici. È noto, infatti, che a seguito di forti piogge la qualità di un’acqua di balneazione può peggiorare, perché gli inquinanti, sia microbiologici che chimici, sono dilavati dai suoli e veicolati attraverso i fiumi nell’area adibita a balneazione.
Infine, l’aumento di temperatura dei mari, dovuto ai cambiamenti climatici, è un fattore emergente che può provocare un aumento di fenomeni potenzialmente nocivi per la salute umana, quali, ad esempio, l’eutrofizzazione, con conseguente proliferazione di alghe tossiche marine e cianobatteri.


Come funziona il monitoraggio


La sorveglianza delle acque di balneazione costituisce un momento importante della tutela della salute pubblica e questo spiega l’attenzione e l’impegno che il Ministero della Salute hanno costantemente dimostrato di avere su questo tema. Il decreto del 30 marzo 2010 definisce i criteri per determinare il divieto di balneazione, nonché modalità e specifiche tecniche per l’attuazione del Decreto legislativo 30 maggio 2008 n. 116, di recepimento della Direttiva 2006/7/CE, relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione (G.U. Serie Generale n. 119 del 24 maggio 2010).


Il sindaco, nei casi previsti dalla legge o qualora si presuma un pericolo d’inquinamento delle acque, emette ordinanza di divieto temporaneo alla balneazione e, accertata l’idoneità delle acque, ordina la riapertura delle zone precedentemente interdette. All’inizio dell’estate, le informazioni di cui si dispone sono relative alle zone chiuse alla balneazione sulla base dei dati riferiti alla stagione balneare precedente e provenienti dai campionamenti effettuati a cura delle Agenzie regionali per la protezione ambientale (Arpa), in collaborazione con le Regioni. La delimitazione dei tratti di costa viene segnalata dalle Regioni competenti con apposite delibere inviate al Ministero della Salute. Prima dell’apertura della stagione balneare i sindaci, con propria ordinanza, rendono esecutivi i divieti di balneazione per le zone indicate dalle Regioni. Quando nel corso della stagione balneare i risultati delle analisi impongono un provvedimento di divieto di balneazione, i laboratori preposti al controllo informano il sindaco, il quale emette un’ordinanza di divieto. Quando su una zona già interdetta alla balneazione i risultati delle analisi, per due campionamenti consecutivi, risultano positivi, questa può essere riaperta alla balneazione: il laboratorio dà immediata comunicazione al sindaco della revoca del divieto di balneazione, e questi emette un’ordinanza di revoca.


Obiettivo del programma di sorveglianza è l’esatta conoscenza, sia sotto il profilo microbiologico, sia sotto quello fisico-chimico, dello stato delle acque marine, lacustri e fluviali e, quindi, l’identificazione sia delle situazioni di degrado ambientale che di situazioni, anche solo potenzialmente, pericolose. Ciò comporta la necessità, in particolare per Regioni e Comuni, di interdire alla balneazione i tratti di costa che non rispondono ai requisiti di legge, ricorrendo a provvedimenti spesso difficili, soprattutto per regioni a spiccata vocazione turistico-balneare, ed impopolari, ma indispensabili per raggiungere l’obiettivo della massima garanzia per i bagnanti.


Secondo la normativa italiana si intendono per: «acque di balneazione» le acque dolci, correnti o di lago e le acque marine nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata ovvero non vietata; «zona di balneazione» il luogo in cui si trovano le acque di balneazione di cui al punto precedente; «stagione balneare» il periodo compreso tra il 1° maggio ed il 30 settembre; «periodo di campionamento» il periodo che inizia un mese prima della stagione balneare (1° aprile) e termina con la fine della stessa (30 settembre). I prelievi vengono effettuati in fondali con una profondità tra gli 80 ed i 120 cm. Ciò va tenuto presente nell’esatta lettura delle percentuali di balneabilità, in particolare per alcune regioni, come la Sardegna, che hanno tratti di costa alta, che non viene in tal modo monitorata.


I requisiti di balneabilità devono essere adeguatamente controllati nel corso della stagione balneare. La normativa italiana, a garanzia della salute dei cittadini, giudica non idonee alla balneazione anche le acque per le quali, a causa dell’incompletezza del monitoraggio, non possa essere espressa una valutazione. La nostra normativa infine, già tra le più rigorose in Europa, impone criteri più restrittivi sia per i tratti di costa insufficientemente campionati che per quelli vietati per inquinamento microbiologico: i primi saranno interdetti alla balneazione fino a quando non sarà rispettata la frequenza di campionamento prescritta, le coste inquinate non potranno essere riammesse alla balneazione finché non saranno messi in atto gli opportuni interventi di risanamento e conseguente recupero.


Per un tuffo sicuro


Vacanze programmate al mare: quale migliore occasione per rilassarsi e rimettersi in forma? Il nuoto, stimolando l’apparato muscolo-scheletrico e quello cardiorespiratorio, è già di per sé un’ottima attività fisica. Se poi viene praticato al mare, a questi vantaggi si aggiungono i benefici dell’acqua salata, tra cui un più facile galleggiamento.
Quando si parla di bagni, sono inevitabili le raccomandazioni: alcune sono frutto del buon senso e mediate dalla Medicina dello sport, altre di luoghi comuni. Bisogna far passare almeno tre ore dall’ultima volta che si è mangiato prima di entrare in acqua. Questo intervallo non è tassativo quando la temperatura dell’acqua è pressoché identica a quella esterna: non ci sono rischi per la digestione, a condizione di non essersi abbuffati e di non voler fare lunghe nuotate in acque profonde. È sempre bene consumare pasti leggeri in spiaggia ed evitare di bere alcolici (non solo vino ma anche birra): rallentano i riflessi, e gli effetti vasodilatatori della temperatura ambiente e dell’alcool si sommano. Se dovesse capitare qualche strappo alla regola meglio allora restare sotto l’ombrellone e attendere di aver “smaltito”… prima di entrare in acqua.


Per combattere la sete è consigliabile dare la preferenza alle bevande fresche anziché ghiacciate, sorseggiate lentamente. Lo sbalzo termico che l’organismo deve sopportare se ci s’immerge nell’acqua fredda, può causare problemi anche molto seri (ad esempio congestione, collasso o crampi) che si manifestano con dolori addominali, nausea e vomito, vertigini, spossatezza, mal di testa, sudorazione e formicolii. I crampi sono dovuti a uno squilibrio idroelettrolitico: possono manifestarsi soprattutto se l’acqua è fredda o se ci s’immerge e si nuota senza essere allenati, per cui è opportuno fare il bagno dove ci sono altre persone e non isolarsi.


Un bel tuffo in acqua dopo tanto sole per rinfrescarsi? Da evitare è sempre lo sbalzo termico, mettendosi all’ombra per una quindicina di minuti prima di entrare in acqua gradualmente, bagnando prima di tutto gli arti poi la testa, a maggior ragione se la differenza di temperatura tra l’esterno e l’acqua è elevata. Per la stessa ragione è da evitare il bagno subito dopo una corsa o una partita in spiaggia: sotto il sole l’organismo fatica ad eliminare il calore prodotto da un intenso sforzo fisico-motorio. Con l’innalzamento della temperatura interna si aggrava il divario termico tra l’acqua del mare e il corpo, e si rischia una sincope; meglio quindi riposare all’ombra per 15-30 minuti.


Quando l’acqua è molto calda si può incontrare una medusa: non è pericolosa ma le sostanze rilasciate dai tentacoli sono urticanti per cui provocano dolore e bruciore sulla pelle, che è bene non sottovalutare. È importante mantenere la calma perché lo stress stimola la contrazione muscolare, facilitando la diffusione della sostanza urticante, e lavare la ferita con acqua di mare e poi bagnarla con acqua calda. Se sono ancora attaccati i tentacoli, bisogna applicare un “impacco” salato di sabbia e acqua sulla ferita e poi staccare i tentacoli. Dopo queste prime misure, è opportuno recarsi al Pronto soccorso più vicino perché dolore e gonfiore possono essere anche molto fastidiosi.


Non solo mare


I bagni fanno pensare al mare, ma molte strutture alberghiere offrono la possibilità di fare bagni in piscina, così come è frequente e apprezzata la balneazione nei laghi e nei fiumi. La piscina è certamente un’acqua “sicura” da tutti i punti di vista, ma le sostanze disinfettanti che ne garantiscono l’igiene possono irritare gli occhi, per cui se i bagni si protraggono può essere utile ricorrere all’uso degli occhialini. Evitare di correre lungo i bordi della piscina, i giochi scatenati come spinte in acqua o tuffi se il fondale non è adeguato. Le “regole generali” per bagni liberi “sicuri” sono le stesse, ma ci sono anche peculiarità legate a “dove” si fa il bagno. L’acqua del lago è generalmente meno mossa di quella del mare ma le insidie non sono da meno: buche sul fondale, gorghi e correnti, minore salinità e una temperatura generalmente più bassa rispetto a quella del mare (attenzione alle congestioni).

Non perdere mai di vista i bambini

La durata del loro bagno dipende dal movimento che fanno in acqua: più si muovono o nuotano, più tempo possono trascorre in acqua perché stando fermi ci si raffredda più rapidamente. In ogni caso si devono far uscire dall’acqua se si notano tremori per il freddo e quando la mani e piedi appaiono raggrinziti.


Le onde, per quanto divertenti, possono anche essere una fonte di pericolo trascinandoli sott’acqua. Un bimbo piccolo può annegare anche in poche decine di centimetri d’acqua, quindi è importantissimo essergli sempre vicino e anche i più grandi non vanno mai perduti di vista.


Se il bimbo non sa ancora nuotare, mettergli sempre i braccioli gonfiabili o il salvagente. Precauzione utile anche se sa nuotare, o se il mare ha un fondale alto e non si tocca. Le correnti, spesso anche forti, possono cambiare direzione nel corso della giornata o in base al vento, come possono esserci dei gorghi che trascinano verso il basso, e i fondali non sono sempre regolari.


Peculiare del fiume è il movimento dell’acqua che può essere più o meno lento, ma spesso imprevedibile e molto insidioso. I fondali dei tratti balneabili dei fiumi non sono alti, ma molto disomogenei. È quindi alto il rischio di inciampare o scivolare sulle pietre rese particolarmente viscide dall’acqua o dalla presenza di muschi e piante acquatiche. Massima cautela e sorveglianza, pertanto, e non sottovalutare che il bagno nel fiume è adatto solo a bambini o adolescenti che siano comunque già in grado di nuotare con molta padronanza.


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