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Senti chi parla: memoria e apprendimento nei bambini

 |  Corinna Opara

Il linguaggio è da sempre un tema affascinante non solo per la sua complessità, ma soprattutto per l’essere una delle principali caratteristiche che contraddistinguono il genere umano da quello animale.

Solo l’uomo è infatti capace di produrre un sistema così articolato volto, essenzialmente, alla comunicazione tra due o più soggetti. Da qui la domanda: la capacità di linguaggio è innata o matura con l’apprendimento? Ed ancora: come fanno i neonati a ricordare le parole pronunciate da mamma e papà e come le riconoscono tra tanti suoni diversi? Alcuni ricercatori della Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste stanno tentando di spiegarlo attraverso una serie di ricerche. Ecco alcune risposte.


“La capacità di apprendimento del linguaggio del genere umano – spiega Silvia Benavides Varela, biotecnologa ricercatrice nel settore delle neuroscienze cognitive alla Sissa – dipende dal fatto che noi siamo biologicamente predisposti ad apprenderlo in quanto nostro mezzo di comunicazione. Motivo per il quale viene anche processato dal nostro cervello più facilmente rispetto ad altri suoni”. Siamo al bar Knulp di via Madonna del Mare, in occasione di uno degli Aperitivi scientifici organizzati dai giovani ricercatori della Sissa per far incontrare il mondo della ricerca con la cittadinanza, interagire con essa e rendere col tempo la scienza sempre meno oscura.


“Attualmente – racconta la biotecnologa – stiamo conducendo alcuni studi sui bambini dai 0 ai 17 mesi per capire come si comportano e come si sviluppano le loro capacità cognitive nella fase che precede lo sviluppo del linguaggio. Si tratta di studi assolutamente non invasivi effettuati col consenso e la completa collaborazione delle mamme”. Da questi è emerso che i bambini sanno riconoscere e distinguere la voce della mamma sin dalla nascita, in quanto abituati a sentirla attraverso le vibrazioni già mentre se ne stanno in pancia durante il periodo della gravidanza; diverso il discorso per quanto riguarda la voce del papà, per il riconoscimento della quale tutto dipenderà dalla frequenza della sua presenza nel periodo del pre e post parto.


La ricerca ha pure permesso di osservare il funzionamento del cervello dei neonati. “Partendo dal fatto – chiarisce Silvia Benavides – che nel cervello umano ad ogni area corrisponde una determinata capacità motoria o cognitiva, il cervello dei neonati si sviluppa molto nel primo anno di vita. La parte più profonda, cioè quella più primitiva, legata alle risposte istintive, è relativamente pronta strutturalmente e funzionalmente sin dalla nascita, mentre gli strati più superficiali, la cosiddetta corteccia cerebrale, si sviluppano più lentamente”. E proprio perché gli esseri umani sono biologicamente predisposti ad imparare il linguaggio, pure le aree del processamento del cervello sono pronte sin dalla nascita. Nell’apprendimento della propria lingua madre, un ruolo fondamentale viene giocato dalla capacità di ricordare le parole e associarle a un determinato significato, “anche se – sottolinea la biotecnologa – spesso nei bambini si verifica il fenomeno dell’interferenza retroattiva, dove, nella ricezione di una serie di più dati in un breve lasso di tempo, le ultime informazioni finiscono per cancellare quelle precedenti, che vengono quindi dimenticate”.


Molto interessanti i risultati ottenuti dagli studi sulle modalità di apprendimento del linguaggio. “Una delle maggiori capacità dei bambini – osserva l’esperta – sta nello stabilire già a soli sette mesi le relazioni tra le sillabe, la posizione delle parole e le relazioni tra loro in base alla loro frequenza (ad esempio in italiano gli articoli sono molto frequenti e precedono sempre i sostantivi, ndr)”. Lo stesso vale nel caso dei bambini che nascono in un contesto plurilingue: mentre infatti nello studio delle lingue straniere gli adulti usano come modello la struttura della propria lingua madre, i bambini sfruttano semplicemente la loro innata capacità di apprendimento linguistico, motivo che li rende pure più veloci nell’apprendere.
Da qui la domanda se esista, a questo punto, una sintassi di base comune in tutte le lingue. “Un quesito – afferma la ricercatrice della Sissa – molto difficile, per rispondere al quale ci vorrà del tempo perché ci sono ancora delle discussioni in corso. Va detto tuttavia che i neonati sono capaci di discernere le lingue in base ai ritmi, accenti, intonazione e durata caratteristici di ciascuna (la cosiddetta prosodia, ndr), distinzione che è più difficile nel caso in cui le due lingue sono simili. I bambini raggiungono questa capacità indistintamente a quattro mesi dal termine dell’età di gestazione, e questo significa che, da un certo punto di vista, questa capacità arriva con la maturità del cervello e non con la quantità di esposizione agli stimoli”.


“Paradossalmente – conclude Silvia Benavides – i risultati di questa ricerca possono sembrare superficiali e inutili per un occhio esterno… eppure hanno la potenzialità di avere importanti applicazioni pratiche: potrebbero ad esempio essere sfruttati per l’organizzazione dei programmi di studi, in particolare per quanto riguarda le modalità di introduzione dello studio delle lingue straniere. Io credo che per capire se e quando c’è un problema nel bambino, per aiutarlo in modo adeguato, bisogna prima sapere cosa accade in una situazione normale”.


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