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Chris Slupski

Disturbo mentale e pregiudizi: la Carta di Trieste

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Un veicolo di dibattiti, conoscenza, di riflessione e di sensibilizzazione. Quindi uno strumento per educarsi ed educare. Questo il senso della Carta di Trieste, il documento presentato nel Parco di San Giovanni di Trieste all’interno di “Impazzire si può”, la manifestazione nazionale organizzata dal 21 al 24 giugno dal Dipartimento di salute mentale.


Nata in occasione del convegno internazionale tenutosi in febbraio sempre a San Giovanni sotto il titolo “Che cos’è salute mentale”, si tratta della bozza di un importante codice deontologico destinato agli operatori dell’informazione ma, di conseguenza, anche ai loro fruitori e quindi all’intera società civile. Importante in quanto portatore di una serie di valori che, se applicati e trasmessi, potrebbero contribuire a superare stereotipi, pregiudizi e paure legate al disturbo mentale e alle persone che lo attraversano. Diventando un ulteriore sostegno in quel quotidiano tentativo di costruirsi “una vita che merita di essere vissuta” (come tutti noi, ma con più difficoltà) e che, come è emerso dall’intervista di Madia Marangi, donna che ha attraversato l’esperienza di un disturbo mentale (presidente dell’associazione pugliese “Il Gabbiano”, un gruppo di auto-mutuo aiuto), “spesso i media finiscono per distruggere”.
Un’idea nata in modo assolutamente spontaneo, e più precisamente in occasione di un incontro tra rappresentanti del mondo dell’informazione e persone con l’esperienza del disagio mentale. All’incontro era presente Santo Della Volpe, giornalista e uno dei fondatori dell’associazione Articolo 21 (nata per la difesa della libertà di espressione). Il quale, ritornato a Roma, ha riferito i contenuti dell’incontro al presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) Roberto Natale.
> L’OBIETTIVO DEL PROGETTO
L’intenzione sarebbe fare del documento una Carta come quella di Treviso per la tutela dei minori e dei soggetti deboli e quella di Roma sull’immigrazione, e quindi un protocollo etico/deontologico da seguire e da inserire nel materiale da portare all’esame per diventare giornalisti professionisti. È pure un modo per accogliere l’appello dell’Organizzazione mondiale della sanità a sostenere proprio la lotta ai pregiudizi e all’esclusione sociale di cui sono vittime le persone con disturbo mentale e le loro famiglie.
Negli ultimi 30 anni in Italia è stato prodotto un grande cambiamento. La riforma psichiatrica del 13 maggio 1978, con la Legge 180, ha chiuso i manicomi pubblici, ha riconosciuto il diritto di cittadinanza alle persone con disturbo mentale, ha mutato il vecchio rapporto tra psichiatria e giustizia, ha dato avvio alla formazione di un sistema di servizi di salute mentale ormai diffusi in tutto il territorio nazionale, ha mutato il destino di migliaia di uomini e donne con sofferenza, ha avviato un cambiamento di atteggiamento culturale nei confronti di ogni forma di diversità evidenziando l’illibertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale a questa connessa. Tuttavia la dissociazione tra enunciati e realtà rimane evidente.
Ora la bozza presentata Trieste andrà a Roma per essere riesaminata ad ottobre in un incontro congiunto tra le parti coinvolte. Nel contempo, essendo il documento nato nel capoluogo giuliano, l’intento sarà di coinvolgere in modo più attivo anche l’Ordine regionale dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia.
> LA CARTA
La Carta è composta da un decalogo e da una corposa parte di allegati il cui denominatore comune sono il rispetto della dignità umana e il rispetto della verità dei fatti (come recita l’art. 2 delle legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti). Una parte a sé e dedicata al tema del suicidio: spesso infatti si dà per scontato che ogni suicidio sia connesso alla presenza di disturbi mentali nella persona che si è tolta la vita, mentre è stato dimostrato che ciò non è vero nel 75% dei casi. Tra le raccomandazioni inserite nel decalogo, anche quelle volte a non utilizzare le terminologie del settore in modo errato involontariamente o, peggio ancora, appositamente per gettare la notizia in prima pagina. Perché spesso si dimentica proprio questo: dietro ad ogni nome, ad ogni parola, sta una persona con la sua vita. Mentre l’opinione pubblica fa presto ad assorbire i pregiudizi, ma fa molta fatica a liberarsene.
Più sensibilità da parte dei giornalisti dunque? “Noi giornalisti dovremmo prenderci la nostra parte di responsabilità”, commenta Kenka Lekovic, che collabora alla stesura della Carta. “Inutile dire – aggiunge – che i media hanno un grande potere. Ma questo potere non è fatto solo di diritti, ma anche di doveri. E non mi riferisco solo al dovere di cronaca, ma anche a una responsabilità di ordine morale nei confronti della comunità. In questo senso la Carta di Trieste piuttosto che un elenco di buone regole vuole essere veicolo di sensibilizzazione, consapevolezza ed educazione”.
Corinna Opara


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