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Lara Newton

Tutto attorno a noi è turbolento

 |  redazionehelp

Il fumo di una sigaretta, l’acqua che bolle, l’aria che entra da una finestra: sono ogni giorno attorno a noi, eppure non sempre ce ne accorgiamo.

Sono le turbolenze, un fenomeno naturale quanto complesso il cui studio è stato affidato alla fisica, più precisamente alla fluidodinamica, cioè a quella parte della fisica che studia il comportamento dei fluidi in movimento (quindi i liquidi, i gas, il plasma e, in alcuni casi, i solidi plastici). Con risvolti anche importanti e interessanti negli ambiti più disparati, da quello ambientale a quello industriale. A parlarcene Federico Roman, ingegnere e ricercatore presso il laboratorio IE-Fluids che da circa cinque anni fa parte del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura – sezione Idraulica dell’Università di Trieste. > MOTI IRREQUIETI Una turbolenza (o regime turbolento) è il moto caotico e vorticoso di un fluido che si manifesta quando le forze viscose non sono sufficienti a contrastare le forze di inerzia. “È da precisare – specifica Roman – che si tratta di una caratteristica del flusso e non del fluido in sé. Caratteristica determinata da alcuni elementi: dimensione del problema, velocità e viscosità (cioè la resistenza del fluido allo scorrimento, ad esempio il miele è molto più viscoso dell’acqua, ndr). L’acqua che scorre a velocità bassissime, per dire, non necessariamente è turbolenta ma può essere laminare, perché è come se fosse composta da un insieme di strati che scorrono gli uni sugli altri. Aumentando sempre di più la velocità di scorrimento, prima o poi il flusso da laminare diventa turbolento”. Tra le principali caratteristiche di questo tipo di flussi vi è l’incapacità di esser predetti nel tempo a causa della non linearità delle equazioni che ne descrivono il moto. Uno dei primi a individuare l’esistenza delle turbolenze fu, secondo alcune fonti, Leonardo da Vinci, mentre i primi esperimenti vennero condotti nel 1883 in Inghilterra. “Eppure – sottolinea il ricercatore – si tratta di una scienza giovane e non molto ben compresa. I passi in avanti nel campo delle turbolenze sono stati davvero pochi e contenuti, sia perché si tratta di un fenomeno imprevedibile, sia perché spesso l’unico metodo per effettuare gli studi è rappresentato dall’utilizzo di supercomputer”. > DAL CIELO AL MARE, BASTA CHE SI MUOVA Lo studio delle turbolenze può coprire gli ambiti più disparati: da quello industriale (per la progettazione di turbine, aeroplani, forni da cucina ecc.) a quello ambientale (per lo studio della propagazione degli agenti inquinanti nel mare, dei gas emessi da una fabbrica ecc.). “Quindi – commenta l’ingegnere – studi teorici o applicativi praticamente in qualsiasi ambito in cui c’è un fluido che si muove: anche se non sempre è evidente, siamo circondati da flussi di natura turbolenta”. > A TRIESTE Addentrandosi nell’universo delle turbolenze, si aprono nuovi mondi. E si scopre così che a Trieste, all’interno della sezione Idraulica del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università, vi è un laboratorio molto attivo che da circa cinque anni si occupa proprio di questo. Si chiama IE-Fluids (Industrial and Environmental Fluids), ed è composto, oltre che dal direttore, il prof. Vincenzo Armenio, da due ricercatori (tra cui Federico Roman) e da cinque dottori di ricerca. “Nello specifico – spiega Roman – il nostro è un laboratorio di CFD (fluidodinamica computazionale) e si occupa di applicazioni in campo ambientale ed industriale, nel mio caso specifico di problemi marino-costieri e atmosfera. Sviluppiamo modelli ad alta risoluzione, quindi molto precisi e particolareggiati, applicabili ad aree di qualche chilometro. In ambito marino studiamo le zone vicino alla costa, dove si sviluppano meccanismi molto complessi rispetto alle zone di mare aperto, in ambito atmosferico invece studiamo aree di qualche chilometro ad esempio in zone urbane. Spesso il fine ultimo del lavoro è comprendere la possibile dispersione di inquinanti in questi ambiti”. Attualmente è in corso un progetto per l’Arpa Fvg per lo studio della dispersione di inquinanti in zone urbane. “Da anni poi – aggiunge – compiamo studi sulla baia di Muggia per meglio comprenderne la circolazione marina. Una zona interessante, vista la presenza di un’area industriale-portuale con le conseguenti problematiche ambientali”. Il modello per lo studio dei flussi in ambiente costiero, che è stato applicato allo studio della baia, è stato in seguito presentato a Seoul, in Corea del Sud, in occasione del “Turbolent Shear Flow Phenomena 6”, simposio internazionale dedicato alle turbolenze, dove è stato scelto per esser pubblicato su un’edizione speciale di una rivista scientifica internazionale. “Vedere riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale i risultati del proprio lavoro – assicura il giovane ricercatore – è una soddisfazione non da poco. Specialmente quando, e mi riferisco anche ad altre esperienze, prima di ottenere dei buoni risultati possono passare diversi anni. Essere pubblicati significa, specialmente nel caso di modelli di nuova generazione, gettare le prime basi per nuovi studi volti a migliorare la comprensione di problemi fisici complessi. E sapere di essere stati gli artefici di tutto questo è davvero gratificante”. > SE L’IMPOSSIBILE DIVENTA POSSIBILE La studio di un flusso turbolento viene affidato alla risoluzione di complicatissime equazioni (le equazioni di Navier-Stokes). Una volta raccolti i dati necessari da utilizzare nelle equazioni, queste ultime vengono inserite ed elaborate da potentissimi computer dotati di migliaia di processori, collegati in rete e ubicati altrove (uno di questi, il Cineca SP6, si trova ad esempio a Bologna), che forniranno i risultati in tempi lunghissimi, spesso anche a distanza di mesi. Da qui la realizzazione di mappe e grafici, la loro lettura e interpretazione e, per finire, i commenti, le considerazioni, i suggerimenti ad eventuali committenti. “Il primo passaggio per lo studio di flussi turbolenti – afferma Roman – è quello sperimentale. Questo però si limita a riprodurre casi semplici. Casi usati in seguito come data base da confrontare poi con i modelli preparati per risolvere le equazioni con i simulatori. Si risolvono cioè le equazioni per questi “casi test” con i calcolatori, si confrontano i risultati con il data base e quindi, constatata la validità del modello numerico, si applicano i modelli a problemi più complessi. Basandosi sul modello che funziona sul caso semplice, anche l’applicazione al caso complesso avrà così buone probabilità di fornire risultati corretti, se le ipotesi che soggiacciono al modello rimangono valide”. Ecco perché tra le sfide del futuro, oltre al desiderio di comprendere sempre meglio le dinamiche dei fluidi, gran parte delle aspettative è riposta nell’evoluzione tecnologica, in attesa di computer ancora più capaci cui poter affidare l’elaborazione di calcoli e modelli sempre più complessi. Corinna Opara


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