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La libertà creativa del bambino

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L’essere umano comincia molto presto a giocare. Già a partire dai due o tre mesi di vita iniziano nel neonato i primi sfregamenti, i primi versetti, che altro non sono che i primordiali tentativi di attività ludiche.

Il gioco è, di fatto, uno degli aspetti più importanti per comprendere il benessere psicologico del bambino. Per approfondire l’argomento ci siamo fatti aiutare dalla dottoressa Serena Bontempi, pedagogista e coordinatrice nella nostra regione di un’importante struttura per l’infanzia dove, da più di vent’anni, si opera mettendo al centro del progetto educativo l’osservazione dei giochi dei bambini e del loro mondo emotivo.

 

Il gioco nasce in assenza della madre, è un tentativo di ricrearne la presenza. In sostanza è un richiamo alla mente di ciò che in quel momento manca, non è presente. Ed è importante lasciar fare, perché significa che il bimbo inizia autonomamente ad avere i suoi pensieri, le sue immagini mentali. Appare allora fondamentale che il genitore conceda questi spazi e che non anticipi il bambino nei suoi primi tentativi creativi.

 

Gesti, versi, l’uso delle mani, nel neonato possono essere non richieste di attenzione da parte della madre, bensì proprio i primi tentativi di ricreare l’emozione del legame anche in sua assenza. È chiaro allora che, affinché il gioco sia possibile, deve esistere la relazione con la madre, quella relazione che viene definita primaria. Se un bambino non gioca, il legame primario può essere stato faticoso, conflittuale, incerto o comunque vissuto in maniera non sufficientemente appagante o soddisfacente. Soffermiamoci per esempio sul gioco del cucù, in cui un oggetto o una persona si nasconde dietro uno straccio. Il bambino di un anno immagina il volto o l’oggetto utilizzato nascosto e si aspetta che torni. Questo è possibile proprio perché il piccolo possiede l’immagine mentale e dell’oggetto e dell’adulto celato. Così egli sa che la madre, di cui ha interiorizzato l’immagine, tornerà.

 

Man mano che il bambino cresce cambiano anche i giochi: iniziano per esempio a essere utilizzati degli oggetti, vengono realizzate le prime costruzioni. In questi momenti è assolutamente fondamentale dare valore a quanto nostro figlio ha prodotto. Il bambino è fiero di ciò che ha fatto perché ha realizzato, per esempio, una fila ordinata di animali o di automobiline: è la concretizzazione di un suo pensiero, è il suo personale modo di riflettere e, in qualche modo, di controllare la realtà che è ancora tanto misteriosa e complicata. Rispettare e apprezzare il gioco spontaneo del bambino è allora importante soprattutto perché può essere un modo efficace per contribuire ad alimentare la sua autostima.

 

Non è un caso allora che la psicoterapia infantile sia basata principalmente sull’osservazione delle modalità con cui i bambini giocano. Per riconoscere la presenza di un disagio tre sono i segnali più importanti a cui si fa riferimento: i disturbi alimentari, quelli del sonno e, appunto, l’attività ludica.

 

Il gioco è la prima forma di creatività dell’essere umano e ha una funzione rappresentativa del proprio mondo interiore. Giocando il bambino cerca di capire se stesso, il proprio mondo interiore, ma anche la realtà esterna, le relazioni umane che lo circondano e lo coinvolgono. Per fare un esempio: un oggetto qualsiasi può diventare nelle mani di un bambino un aeroplano o un’automobile, un orsetto di pelo può parlare, uno straccetto può diventare un mantello; e tutto quello che i bambini fanno o dicono con gli oggetti scelti per giocare, parla di loro, dei loro pensieri, delle fatiche e delle gioie della loro crescita. Così vanno per il mondo i bambini, così, giocando, cercano di comprenderlo.

 

Ma se il gioco è rappresentazione simbolica del pensare individuale, allora è bene cercare di evitare i giochi precostituiti perché limitano la libertà creativa del bambino. Per esempio: le bambole che non fanno nulla sono preferibili a quelle che, alimentate da batterie, piangono, ridono o fanno pipì. Sarà la bambina in assoluta libertà a simulare il pianto e il riso del giocattolo e così potrà portare a termine le sue riflessioni che altro non sono che un’indagine sulla realtà che la circonda.lo scivolo

 

Ma non esiste solo il gioco individuale: crescendo trovano spazio anche quelli che presuppongono l’interazione con altri bambini. In questo tipo di attività ludica i bambini cercano di capire le relazioni umane e, quindi, il loro ruolo rispetto agli altri.

 

Qual è il compito del genitore all’interno del gioco del bambino? Il genitore ha un ruolo fondamentale: è, per così dire, il garante del gioco. Sono la madre e il padre che creano l’ambiente sano nel quale il bambino può giocare. Accudendolo ed accettandolo gli garantiscono spazi fisici e mentali e gli forniscono la necessaria serenità affinché egli possa pensare liberamente e, così, altrettanto liberamente, esprimere il suo mondo interiore. In sintesi il bambino per potersi dedicare al gioco deve potersi fidare.

 

Ricordiamoci infine che ogni adulto, senza corsi o consulenze, possiede già una competenza importante in materia di genitorialità: la sua conoscenza è data dal suo vissuto come figlio o come figlia, anni importanti nella vita di tutti noi. Ed è così che ognuno può cercare di recuperare nella memoria della propria infanzia le proprie modalità di gioco e le emozioni che i giochi stessi creavano. Anche noi adulti e genitori abbiamo imparato così a relazionarci col mondo, e proprio guardando alla nostra storia possiamo trovare le chiavi di accesso per comprendere noi stessi e i nostri figli.

 

Un’ultima riflessione: se con gioco intendiamo un’attività creativa e rappresentativa della realtà, allora risulta evidente come non si finisce mai di giocare. Nell’adulto la rappresentazione creativa ha la sua manifestazione nella cultura. La lettura di un libro o la visione di un film sono fonti di coinvolgimento emotivo. Ma le emozioni che proviamo, pur nella consapevolezza che siamo davanti a simboli e metafore, cioè a rappresentazioni, sono reali e provengono da quel mondo interiore, tutto nostro, al quale non smettiamo mai di attingere per tutta la vita. Proprio rapportandoci con le diverse espressioni artistiche abbiamo da adulti l’occasione di riflettere su noi stessi e di indagare la realtà che ci circonda, e questo in maniera personale ed intima. 

Tiziana Benedetti

 


In collaborazione con Help! 

 

 

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