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Tradizioni e industria: la cultura del pane

 |  Redazione Sconfini

Tra tutti gli alimenti il pane rappresenta più di tutti, per il consumatore, un argomento che suscita grande interesse, curiosità e, forse ancora oggi, una certa “sacralità”.

Recentemente sulla stampa nazionale sono stati pubblicati articoli preoccupanti: una semplice indagine ha dimostrato che a Milano oltre il 50% del pane acquistato finisce in discarica. “Dovremmo invece usare un po’ di quel buon senso che usavano i nostri padri nei confronti dell’alimento più sacro che abbiamo”.
Dietro l’apparente semplicità del pane, c’è una filiera molto complessa. Si parte dal campo, dal frumento, poi di solito si trascura un passaggio fondamentale, il mulino, che ha proprio il ruolo di esaltare le qualità del frumento di partenza, selezionando delle frazioni di sfarinato e riunendole in un prodotto finito, studiato, opportuno, che è la farina per la panificazione. Poi intervengono gli operatori, i panificatori, “i detentori di quell’arte bianca che rende il pane un alimento così importante”. Anche il panificatore inventa tipologie di pane: quando entriamo in un panificio, ci troviamo di fronte a numerose tipologie di pane, che sono delle vere e proprie innovazioni di formulazione.
La Legge n. 580/67, all’art. 14, definisce il pane come il «prodotto ottenuto dalla cottura parziale o totale di una pasta lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito con o senza aggiunta di sale». Questo impasto, una volta lievitato, viene porzionato, formato e cotto. Solo quando l’impasto è cotto, ovvero quando l’umidità che contiene è scesa, e si è trasformato completamente, dopo un opportuno raffreddamento, si ottiene il pane.
Rispetto al passato, è cambiato il tradizionale consumo di pane. Il fatto che il pane debba essere ben cotto e, dopo che si è raffreddato, venduto a peso, è una predisposizione a difesa del consumatore. Ma quale consumatore oggi acquista a peso? Normalmente si acquista a pezzo. “Questo aspetto è stato giudicato favorevole da parte di chi vende il pane, ma è un aspetto che si può ritorcere anche sugli stessi artigiani e mi fa riflettere sul rapporto tra chi vende e chi compra, un rapporto che secondo me andrebbe rivisto, aumentando la fiducia nei confronti di chi vende”. Il consumatore poi, comprandolo a pezzo, capita spesso che si porti a casa una quantità di pane che non consuma mai completamente.
Il fatto che oggi il pane si debba produrre e vendere in giornata rappresenta un’ulteriore tutela nei confronti del consumatore. Già il giorno successivo assistiamo ad un raffermamento del pane; una volta il pane raffermo era ricercato, mentre oggi viene considerato pane “scaduto”, cioè immangiabile. Il pane raffermo può diventare secco e duro, con perdita di odori, di sapori, oppure gommoso, poco piacevole al gusto.
Nei giorni nostri si è poi diffuso il cosiddetto pane a lievitazione diretta, che consiste nell’aggiunta di lievito direttamente all’acqua e alla farina e che permette in un paio di ore di avere una lievitazione completa. “Questo tipo di lievitazione ha semplificato la vita dei panificatori, permettendo loro di cominciare il lavoro alle 2-3 di notte, mentre il panificatore di paese, che era un individuo pallido, spesso mingherlino, cominciava il suo lavoro di pomeriggio e proseguiva tutta la notte”.
La riproduzione del pane lievitato prevedeva un intervento dell’uomo su due fronti. La prima possibilità era l’uso della cosiddetta biga (biga perché ci sono due momenti in cui si aggiunge il lievito starter), quando all’impasto venivano aggiunte altra farina ed altra acqua per dare luogo ad una seconda lievitazione. Gli antichi invece usavano il residuo dell’impasto della volta precedente, miscelato ad acqua e farina e reimpastato: questo impasto ancora oggi prende il nome di madre. L’uso della madre o, tecnicamente parlando, degli “impasti acidi” si richiama all’antichità: l’esperienza suggeriva all’uomo di utilizzare l’impasto avanzato per rigenerare un impasto lievitato. “Nelle case si preparava il pane una volta la settimana, quindi il pane da impasto acido ha una durata di sei o sette giorni, il tempo esatto tra lavorazione, consumo e ulteriore lavorazione”.
Questo lievito madre è un prodotto complesso, che oltre ai lieviti è costituito da microrganismi, da batteri che oggi la ricerca sta rivalutando, perché questa flora microbica produce diversi effetti. “Ogni microrganismo metabolizzando sostanze diverse dà un contributo in fase di lievitazione, di cottura, negli aromi e nel colore del pane. I ricercatori hanno dimostrato che questo modo di procedere diminuisce anche il rischio di generare allergie: il pane ottenuto da una lievitazione lunga, attraverso l’impasto madre, è meno allergenico”.
Quanto può durare il pane? “Se il pane è ottenuto con sistemi tradizionali, se il controllo della filiera è ben eseguito, come viene svolto dalla maggior parte degli artigiani, il pane può essere conservato a lungo. Oppure, in ogni caso, il pane non consumato può rientrare in cucina per preparare nuovi alimenti”. Basti pensare a piatti tradizionali, a ricette che prevedono l’uso di pane avanzato, come le polpette, i canederli, gli gnocchetti. Chi ha provato a scaldare almeno una volta il pane non consumato nel forno a microonde, si è reso conto che il risultato è perfetto, negli aromi, nella fragranza, nella croccantezza, ma si è accorto anche che quello stesso pane, una volta raffreddato, diventa immangiabile. Anche il riscaldamento in un forno a infrarossi, o a gas, o a legna, genera lo stesso risultato: il secondo passaggio nel forno lo rende fragrante finché caldo, ma va a sbilanciarlo nel suo contenuto d’acqua rendendolo poi inevitabilmente molto duro.
Confrontando la crosta e la mollica del pane, la crosta è più digeribile. “Un pane di mollica, come quello del tramezzino, è molto buono ma, essendo un pane che non ha subito una completa gelatinizzazione, richiede una digestione lunga”. I nonni che raccomandavano ai bambini di non mangiare le patate o gli gnocchi crudi, avevano ragione: la farina non cotta corrisponde ad amido non gelatinizzato. Quanto più l’amido contenuto nel pane è gelatinizzato, tanto più quel pane è digeribile.
Le macchine per preparare il pane in casa sono un’ottima invenzione e permettono di capire quanto sia semplice e nello stesso tempo complesso fare il pane. “Mi piacerebbe che ci fosse la possibilità di una formazione del consumatore. Conoscere la cultura del pane, saper apprezzare il lavoro dei panificatori, è alla base della garanzia di continuità della loro arte. C’è una bella differenza tra il fatto di veder lavorare un panificatore preparato, che parte dagli ingredienti che lui stesso ordina, controlla attentamente (ad es. la temperatura dell’acqua e la quantità di grassi), e il laboratorio dove invece una persona prende il sacchetto con la scritta “baguette” oppure “pane di zucca” e lo butta dentro la macchina impastatrice”.
Il pane è una fonte di tradizioni comuni in tutto il bacino del Mediterraneo. Nasce dalla necessità comune di alimentarsi e di poter conservare l’alimento: basti pensare agli antichi soldati romani che si portavano dietro gallette, ovvero pane secco che non era soggetto a muffe e che durante le marce faceva passare la fame grazie alla lenta masticazione in bocca.
Le diverse tipologie di pane sono straordinarie. Il pugliese è uno dei pani più antichi del Mediterraneo: il pane di Altamura è antichissimo, sia per la lavorazione che per la tipologia, ed è stato uno dei primi ad ottenere la denominazione DOP: è adatto alle bruschette per la “larga” e soffice fetta, ed è molto apprezzato perché si conserva a lungo. Poi c’è il pane ferrarese tradizionale, quello artigianale, croccante e dalla tipica forma “a ragno a quattro zampe”, una vera “scultura edibile”, che però rischia la via dell’estinzione: infatti sono rarissimi i produttori che ancora conservano, rinfrescano ed usano la pasta madre tramandata da generazioni, indispensabile per la tipicità di questo pane tradizionale. “Forse però la tecnologia riuscirà a trasmettere questo prodotto perché si stanno studiando dei sistemi industriali per l’automazione della produzione dell’impasto acido e del suo uso in filiera”.
Negli ingredienti di alcune tipologie di pane il grasso è importantissimo per dare fragranza, sapore e colore. I grissini sono così buoni perché contengono molto grasso. “Oggi il consumatore ha il vantaggio di potersi informare direttamente sulla quantità di grassi contenuti negli alimenti, grazie all’etichetta. L’importante è leggerla”.
Il pane infine non va conservato nella plastica. “Quando non c’è la possibilità di acquistare il pane fresco ogni giorno, possiamo surgelarlo, ma prestando attenzione: bisogna scegliere un pane abbastanza basso e con spessore sottile, tenere schiacciato il sacchetto per togliere l’aria e scrivere la data di surgelazione”.

foto: Monika Grabkowska


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